Non solo mancanza di rispetto nei confronti degli animali, ma soprattutto interessi economici – a volte milionari – che attirano la criminalità organizzata. È la fotografia che emerge dal rapporto zoomafia 2016 presentato da Lav. L’associazione animalista ha presentato il nuovo report, realizzato dal responsabile dell’osservatorio Ciro Troiano. I dati raccolti riguardano otto tipologie di reato legate – dall’uccisione al maltrattamento, dai combattimenti e dalle competizioni non autorizzate all’abbandono, passando per i reati venatori, il traffico illecito e gli spettacoli e le manifestazioni vietate – e provengono da quasi il 70 per cento delle procure italiane, ovvero quelle che hanno fornito i numeri riguardanti i procedimenti giudiziari aperti.
I reati contro gli animali rappresentano in Italia un fenomeno tutt’altro che secondario. Si stima, infatti, che in Italia vengano aperti 24 fascicoli al giorno, con una persona indagata ogni 90 minuti. I crimini maggiormente commessi nel 2015 hanno riguardato i maltrattamenti (30,65 per cento e 1343 indagati), seguiti dall’uccisione (28,23 per cento) e dai reati venatori (21 per cento). Ciò non significa che quelli più rari, almeno stando ai dati ufficiali, siano da trascurare: a partire dai combattimenti tra animali che, pur avendo interessato l’anno scorso soltanto 17 procedimenti giudiziari, rimane tra gli aspetti più crudeli degli abusi sugli animali.
I dati, peraltro, non sempre rilasciano un’istantanea esatta della realtà. A farlo notare, in tal senso è la stessa Lav, riflettendo sui numeri provenienti da alcune aree in cui i reati contro gli animali sembrerebbero praticamente inesistenti. «Il numero dei reati ufficiali rappresenta solo una parte di quelli effettivamente compiuti. Molti – si legge nel rapporto -, pur essendo stati commessi restano, per motivi vari, nascosti e non vengono registrati». A incidere, inoltre, sono le denunce a carico di ignoti, che spesso non consentono di arrivare a individuare i responsabili. «Dei procedimenti a carico di ignoti la stragrande maggioranza è destinata ad essere archiviata», continuano gli animalisti. Parlando dei processi, meno del 30 per cento arriva a sentenza, mentre per gli altri scatta la prescrizione.
E così se ci sono procure come quella di Trapani e Sciacca in cui i reati contro gli animali risultano marginali – rispettivamente otto e 12 fascicoli aperti nel 2015 -, altre sono decisamente più interessate. È il caso di Catania che con 175 procedimenti risulta la quinta procura italiana ad aver più indagato. Siracusa è la nona (140), mentre Palermo si trova all’undicesimo posto con 130 fascicoli.
All’interno del rapporto ampio spazio viene dato al ruolo di Giuseppe Antoci, il presidente del Parco dei Nebrodi che, per il suo impegno contro la mafia dei pascoli, è stato vittima di un attentato a maggio. Dal quale è rimasto illeso, soltanto per il pronto intervento della scorta. Antoci è finito nel mirino della criminalità organizzata dopo essere stato promotore del protocollo di legalità che ha portato alla luce gli interessi delle cosche nei pascoli messinesi. Affari plurimilionari, con società riconducibili a esponenti mafiosi che riuscivano ad aggiudicarsi importanti finanziamenti europei.
Nelle zone montuose i reati contro gli animali si caratterizzano per furti di bestiame e macellazione clandestina. «L’abigeato, reato da sempre sottovalutato, è in realtà un vero business per la criminalità organizzata», afferma Lav, ricordando che l’anno scorso nell’Isola «si sono registrati più di 12mila animali da allevamento rubati o smarriti». Furti che a volte potrebbero essere simulati «per coprire la presenza di animali ammalati che vengono poi macellati clandestinamente o per evitare lo smaltimento di esemplari morti negli allevamenti».
Le città, invece, rimangono teatro di un altro genere di reati, come i già citati i combattimenti. In tal senso, a far parlare non sono solo i fatti accaduti dei due principali capoluoghi di provincia ma anche in altre realtà come Trapani, dove a gennaio 2015 veniva trovato un pit bull «dagli agenti di polizia municipale nel parcheggio» di un centro commerciale, con l’animale che «mostrava cicatrici sul muso e ferite più recenti sulle zampe». Scenario ancora più violento, a giugno 2015, quando durante un sopralluogo in casa di un pregiudicato le guardie zoofile «hanno trovato su un terrazzo il corpo senza vita di un pit bull». Altri casi di combattimento sono stati registrati a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento.
I reati in Sicilia riguardano poi le corse clandestine di cavalli, con non solo Catania e Palermo a registrare competizioni illegali nelle strade cittadine, ma anche Messina, con il quartiere Giostra scenario principale e gli animali ribattezzati con «nomi di battaglia che vanno da quelli dei boss», come Totò Riina e Provenzano, a personaggi come Bin Laden. Segnalazioni di corse sono arrivate anche da Scicli e Acate, in provincia di Ragusa. Importante, poi, il fenomeno dell’allevamento e della vendita illegale degli animali. A riguardo nel rapporto si ricorda il ritrovamento a Licata, in provincia di Agrigento di «48 cani tra cui Jack Terrier, nonché sei cuccioli, erano tenuti in condizioni ambientali tali da provocarne sofferenze fisiche e comportamentali». Spazio poi al bracconaggio, con la Sicilia interessata in modo particolare in più punti del proprio territorio.
Gli animali, infine, vengono utilizzati anche a livello simbolico. Per intimidire e mandare messaggi inequivocabili. È il caso delle teste di capretto: due di esse sono state inviate a un esponenti politici di Mascali e Acireale, in provincia di Catania.
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