Andare alla Mostra del cinema e ritrovarsi in Sicilia «Dopo il film di Maresco c’è chi pensa ai tour allo Zen»

Un siciliano, il cinema, o lo fa o raramente ha la possibilità di vederlo dal vivo. E così al primo anno di scuola cinematografica con SentieriSelvaggi approfitto dell’occasione per andare, con in mano un accredito stampa, alla Mostra del cinema di Venezia. Il primo impatto con l’acqua della Laguna, per un isolano che ha la fortuna di vivere sulla costa, è straniante. L’orizzonte marino è mobile, continuamente solcato da vaporetti ed imbarcazioni che ne frastagliano continuamente le prospettive, a differenza del nostro molto più statico. Che poi, se vogliamo, è la differenza tra l’industrioso Veneto e l’indolente Sicilia

Al Lido tutte le attività commerciali mostrano un’efficienza che non avrebbe nulla da invidiare alla Germania. È la prima cosa che noti da siciliano: nei bar e nei locali la ressa degli ospiti della Mostra viene gestita con la fredda sicurezza di chi sa di avere il Pil più alto d’Europa. Nessun barista ti fa battute salaci sul calcio mentre fai colazione, non c’è il capannello degli sfaccendati che bivaccano, non c’è nemmeno lo scemo del paese attraverso le cui disavventure lasciarsi andare a filippiche populiste sull’inefficienza del Comune. È vero però che la Mostra stessa è una bolla all’interno di Venezia, ospitata in un’isola senza calle e lontana dal centro, un’isola che ricorda più i vicini borghi marinari che le peculiarità della città amata dai turisti di tutto il mondo. 

L’isolamento è voluto, propedeutico all’immersione cinematografica in cui vieni subito catapultato. Quattro o cinque film di media al giorno, con conferenze annesse, rappresentano una frequenza di visioni che nemmeno nei giorni di febbre o durante gli studi universitari a Catania ho mai sostenuto. L’altissimo livello del concorso e dei restauri presentati ha fatto sì che tirassi fuori energie insospettate per riuscire a coprire il più possibile. Ma il merito principale va indubbiamente alla pantagruelica quantità di spritz bevuti. Lo ammetto: da meridionale poco mondano pensavo che sarei andato a birra e vino e invece tutti quei Campari e tutti quegli Aperol, pagati sempre il triplo di quello che avrei speso giù, mi hanno fatto avvicinare con simpatia ai gusti alcolici dei veneziani. 

L’inevitabile controcanto di queste bevute è che a certi incontri con cast e regista si rischia di arrivare leggermente alticci, facendo errori clamorosi. Come alla conferenza con il regista Gaspar Noé, che ha presentato la versione cronologica di Irréversible, dove ho dimenticato di prendere le cuffie per la traduzione in simultanea e ho dovuto tradurre il francese delle sue dichiarazioni facendo leva sugli imperituri insegnamenti di Gigi Proietti in Febbre da Cavallo. O come quando ho sbagliato sala e invece di vedere un documentario sugli horror italiani ho visto un film ucraino girato con dieci inquadrature fisse della durata di dieci minuti ciascuna. 

Poi c’è l’interazione culturale con i numerosi giornalisti stranieri. L’inglese maccheronico appesantito dall’ineliminabile cadenza basta appena a gestire le richieste di indicazioni, ma la situazione si complica particolarmente quando si tratta di discutere dei film. A uno statunitense che con l’aggravante di una pronuncia dell’Ohio mi chiedeva cosa pensassi di Ad Astra ho fatto l’errore di rispondere che il film non mi aveva particolarmente entusiasmato. Con la loro tipica spocchia ha preteso che argomentassi il giudizio poco lusinghiero e mentre lui continuava a pressarmi con una sequela di «Well? Well? Well?» ho cercato nella mia mente la possibile traduzione per «Sucati un pruno». Espressione che non a caso compare anche nel vertiginoso La mafia non è più quella di una volta del nostro conterraneo Franco Maresco, che tanto entusiasmo ha propagato tra il pubblico, nonostante l’esigua presenza dei sottotitoli italiani durante i frequenti dialoghi in palermitano stretto

L’effetto del film è stato così forte che giuro di aver sentito alcuni voler organizzare un tour turistico tra Brancaccio e lo Zen alla ricerca dell’eroe della Mostra, Cristian Miscel. E quando in sala stampa subito dopo la premiazione qualcuno fa partire la sua cover di O’ Sarracino l’applauso scatta automatico. Ero andato a Venezia per cercare di allargare i miei gusti culturali e alla fine mi ritrovo sempre a tornare in Sicilia.

Mario Turco

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