Amor di trovieri, saltarelli e lasagne al Palazzo Biscari di Catania

In quel periodo storico falsamente rappresentato come oscuro ed inquietante che va sotto il generico nome di Medioevo, ricco di superstizioni e caccia alle streghe, preghiere e devozioni, amori cortesi e spade arrugginite, urla dantesche di anime affamate che si rincorrono in vortici di vento sotto i colpi di un Dio poco pietoso, si colloca una produzione musicale che, dopo estenuanti ricerche, è venuta fuori sotto le mani pazienti di tanti esperti e studiosi.
Nella sola opera dell’Alighieri i “luoghi musicali” sono numerosissimi, tanti anche non pare questa la sede per ribadirli: miriadi di grida e lamenti si miscelano ai veri e propri canti, urla dei dannati creano un continuum sonoro implacabile e mai sazio, che divora, sbrana quasi, il silenzio, dandosi pace solo in Paradiso, ove verrà sostituito dalla vera e propria Musica, preclusa alle anime infami, esclusiva dei molti beati.

Moltissime altre composizioni puntellano tutto il sapere musicale di quel tempo, anche se spesso l’interpretazione di quei testi e di quelle musiche è dura, celata dietro un enigmatico anonimato.
Di questo repertorio poco noto quando non addirittura inedito si occupano, ormai da molti anni, i componenti dell’ensemble Lucidarium, nel tentativo di ricostruire quante più voci, suoni e colori di una realtà che lentamente va sbiadendo sotto il colpire del tempo nelle tinte del favoloso e del leggendario. Loro si occupano di portarle in giro sul palcoscenico dei più prestigiosi Festival di musica antica di tutta l’Europa e non solo, ridipingendo ogni singolo lavoro con pennellate fresche e libere ma non per questo prive di rigore scientifico e veridicità.

Ieri sera la prima esibizione del gruppo a Catania, nella splendida Sala della Musica posta nel cuore di Palazzo Biscari: Bonaiuto del Casentino, Salimbene di Adam, Arnaut Daniel, e tanti altri pezzi anonimi componevano il repertorio presentato al pubblico in sala.

Punto cardinale del programma il Sommo Poeta, ricordato dalla voce narrante nel suo incontro con Arnaut Daniel, troviere attivo a Parigi tra il 1180 e il 1200, (Commedia, Purgatorio XXVI) di cui i membri di Lucidarium hanno rimesso in musica Lo ferm voler, arrangiato splendidamente con le deliziose copie degli strumenti musicali dell’epoca: viella, ciaramello, cetra, salterio, aiutate dal suono dei flauti e dal canto.

E ancora seguono due testi dedicati alla memoria di Dante e tratte dal Trecento novelle di Franco Sacchetti recitate da Enrico Fink, voce e narrazione dell’ensemble: Dante e il fabbro e Dante e il genovese, ricche di sarcasmo e profumate dalle nuove brezze degli affascinanti vocaboli della lingua italiana nascente.

Le composizioni degli Anonimi sono numerose, testi e musiche: Dami conforto, O divina virgo fiore, E par che la vita mia, tutti portatori di valori cavallereschi riesumati dall’antico cigolare di storpie armature, da impolverati libroni di Frati bigotti o dalle pieghe segrete dei sogni di giovanissime vergini timorate di Dio, o dai tavoli di legno su cui massaie sperimentavano la cottura di cibi di ogni tipo, a formare un mosaico variopinto e misterioso di tradizioni musicali che sicuramente piegavano il capo sotto il peso di strette regole dettate dal gusto italiano del tempo e stemperate da nuovi venti provenienti da esperienze innovative frutto del lavoro di diversi musicisti delle corti lombarde o fiorentine.

E’ in quello scenario che si muove a grandi passi il primo madrigale o la ballata monodica, ad affiancare le musiche curiali romane o la certo più elitaria musica dei trovieri. Le nuove melodie e i nuovi canti sono dedicati ad una fetta di popolazione diversa, quella rurale o che popola anche i bassi strati delle città e, in ambito religioso, a contrastare il canto liturgico riservato al blindato dominio ecclesiastico fa capolino la nuova forma, autoctona e verace, delle laudi cantate dalla gente comune, dai laici, dai frati.

Uno sguardo particolare, ricordato da Francis Biggi, suonatore di cetra e autore dell’interessantissimo programma di sala che ieri sera ha accompagnato e presentato l’esordio catanese del gruppo, va alla “siciliana”, che lui stesso spiega essere una “composizione su testi siciliani o pretesi tali, in forma di ballata a due voci, il cui contrappunto si rivela essere molto vicino alla polifonia arcaica” e che “ben rappresenta lo scambio problematico ma continuo fra la cultura d’élite e cultura popolare”.

Ne viene fuori un mondo musicale complesso, ricco di generi che nascono, muoiono, si intrecciano, si fondono, si fronteggiano. Musica avviluppata profondamente alla vita quotidiana e allo scandire dei diversi momenti della giornata, inscindibile dai mestieri, dalla religiosità, dall’amore, dalle credenze. Funesta come il Dio dell’epoca, dolce come l’amor de lohn, misteriosa come un usuale rito magico per scacciare la paura del male.

Valentina Franco

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