Oltre i termovalorizzatori, Rosario Crocetta sta studiando un piano b. Era nell’aria già da settimane, e lo ha confermato lo stesso governatore in conferenza stampa, parlando di nuove tecnologie studiate di concerto col Parco scientifico e tecnologico della Sicilia, società partecipata all’88 per cento dalla Regione. La conferma che, oltre gli annunci, ci sia già un piano definito, arriva dal presidente del consiglio d’amministrazione, Roberto D’Agostino: l’alternativa a cui pensa il governatore sono gli impianti ad acqua supercritica, che consentono la liquefazione dei rifiuti e la loro successiva valorizzazione. «Questa nuova tecnologia – spiega D’Agostino a MeridioNews – utilizza l’acqua come veicolo di reazione, mettendo insieme procedimenti utilizzati dalla Difesa americana per liquefare i rifiuti chimici utilizzati in Siria o in altre zone di guerra». «La novità – sottolinea ancora il presidente del Parco Scientifico – è che si tratta di una tecnologia pulita, che elimina i derivati chimici che normalmente vengono prodotti in altri impianti, per esempio la diossina».
Tecnicamente si crea una condizione in cui l’acqua non si trova né allo stato liquido né gassoso, assumendo quindi comportamenti anomali che innescano questo tipo di reazione. Le condizioni perché questo tipo di reazione avvenga sono tra le 200 e le 250 atmosfere, a temperature inferiori rispetto a quelle prodotte nei termovalorizzatori o nei cementifici, tra i 600 e i 700 gradi centigradi. «Negli impianti di termovalorizzazione – spiega ancora D’Agostino – si genera un calore che supera i mille gradi e che inevitabilmente produce diossina. Mantenendo invece le temperature a livelli inferiori, si riesce a evitare la produzione di sostanze tossiche».
Secondo D’Agostino, «è possibile trattare con questo sistema praticamente qualsiasi tipo di rifiuto, dal percolato, al rifiuto ospedaliero fino al secco indifferenziato». Le prime sperimentazioni in acqua supercitica sono partite già negli anni ’70, ma soltanto negli ultimi anni la tecnologia è stata utilizzata per lo smaltimento dei rifiuti. Esistono impianti di questo genere in alcune città statunitensi, ma le modifiche apportate dal Parco scientifico e tecnologico della Sicilia hanno consentito alla società di depositare il brevetto a livello comunitario e internazionale.
Anche in questo caso, come per la termovalorizzazione, il rifiuto produce nuove materie prime, dal biometano fino all’energia elettrica. Secondo uno studio di valutazione condotto dalla partecipata, per un impianto sufficiente al fabbisogno di una città di centomila abitanti, sarebbe necessario sostenere un costo di investimento iniziale di 20 milioni di euro. I costi, tra gestione e personale, di un impianto del genere si assesterebbero intorno al milione di euro l’anno. «Insomma, tra le materie prime prodotte e i costi di conferimento – sottolinea D’Agostino – stimiamo un ricavo di circa 17 milioni di euro l’anno, per cui già nel primo biennio si riuscirebbero ad ammortizzare i costi dell’investimento».
Il primo prototipo potrebbe vedere la luce a breve: è in fase di definizione, infatti, una convenzione tra il Parco scientifico e l’Università di Palermo, per realizzare un piccolo impianto sufficiente a raccogliere i rifiuti dell’Ateneo, compresi i rifiuti sanitari del Policlinico Paolo Giaccone del capoluogo. Entro l’estate dovrebbe essere firmata la convenzione, mentre già in autunno l’impianto sperimentale – le cui parti meccaniche sono già arrivate nella sede del socio privato della partecipata, a Caltanissetta – potrebbe essere operativo. Nel disegno del governo, all’interno degli impianti sarebbe conferito soltanto il secco indifferenziato, ma dal Parco non escludono che una volta a regime, gli impianti potrebbero tornare utili anche «per svuotare le discariche siciliane e mettere fine alla gestione post mortem delle vasche sature».
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