Monte Po, brucia la discarica nel parco comunale «Abbiamo fatto catene umane per salvare le case»

I residenti di via Luciano Pavarotti stanno affacciati letteralmente tra due fuochi. Da una parte c’è quello del deposito comunale di vecchie roulotte in via Palermo, che ha iniziato a bruciare e col suo fumo nero avvolge Monte Po come una cappa. Dall’altro lato, invece, di fronte alle loro abitazioni, è in fiamme il parco Monte Po. Il più grande polmone verde cittadino, abbandonato all’incuria, alle discariche abusive di materiali di risulta e amianto, e adesso anche ai piromani. Quando ha iniziato a bruciare era venerdì e ancora non ha smesso. Dal terreno continuano a salire spirali di fumo e la terra è calda. «Ricomincerà – dicono i cittadini affacciati ai balconi – Al primo soffio di vento inizia di nuovo, e noi siamo qua a respirare l’eternit. Non lo sente che buon odore?». «Doloso, doloso, certo che è doloso – sostiene un’anziana – Ci pari ca’ a terra pigghia a’ focu accussì?». «La terra non prende a fuoco dal nulla», dice in dialetto.

Venerdì sera, mentre il forte vento rinforzava le fiamme del campo rom di zia Lisa, diversi focolai sono esplosi all’improvviso nel parco Monte Po, uno spazio di 28 ettari di proprietà del Comune di Catania. «La nostra terra dei fuochi», la definisce chi vive nelle abitazioni che si affacciano proprio sulla zona, facendo riferimento all’area in Campania dove sono stati scoperti rifiuti tossici. Un paragone supportato dal sequestro dell’area, avvenuto nel 2012, da parte della procura di Catania che ha accusato di reati ambientali un’azienda sorpresa a scaricare illegalmente rifiuti – tra i quali la carcassa di un cavallo – proprio nel polmone verde comunale. A cui si era aggiunto, a luglio del 2014un incendio più devastante degli altri: i cittadini avevano raccontato di fumi acidi e aria irrespirabile. E l’assessore all’Ambiente del Comune di Catania, Rosario D’Agata, aveva promesso di far partire la bonifica entro l’estate di quell’anno. «Ma quale bonifica e bonifica – si arrabbia chi dal balcone guarda il parco Monte Po – Vengono a fare i sopralluoghi, prendono le misure e poi se ne vanno».

Di ruspe per spalare via i rifiuti, che è ormai accertato siano seppelliti sono la terra, chi vive là non ne ha viste. «Si vedono, invece, quelli che continuano a scaricare. Il cancello è aperto, le telecamere sono rotte e qua arrivano a tutta velocità, entrano con le macchine e i furgoni e scaricano tutto – prosegue una cittadina – Manco si spaventano, lo fanno di giorno, di sera, a tutte le ore». Poco oltre le antiche masserie del parco, che in base ai piani di riqualificazione dovrebbero essere ristrutturate, c’è un fossato pieno di lastre di amianto che bruciano. E poco più su ce n’è una grossa pila parzialmente andata a fuoco. Per terra è tutto incenerito, ma si riconoscono sacchi pieni di materiale edile e la gomma sciolta di alcuni copertoni. «Abbiamo sentito una serie di botti – raccontano i testimoni – Probabilmente anche quest’anno c’erano bombole del gas». Diverse rispetto a quelle che sono esplose l’anno scorso, e l’anno prima ancora.

Il fuoco stavolta è arrivato a lambire le abitazioni. Nel giardino di una palazzina a due piani un pino è bruciato per metà. «Abbiamo buttato l’acqua sui balconi e sui muri di casa, mia moglie e i vicini hanno evacuato i palazzi qui attorno – racconta un residente – I vigili del fuoco sono arrivati dopo quasi un’ora». Tempi che, secondo i pompieri, sono «plausibili» considerato l’allarme incendi del fine settimana e la cronica scarsità di mezzi e uomini a disposizione dei vigili del fuoco di Catania. «Abbiamo fatto le catene umane tentando di spegnere le fiamme prima che bruciassero le nostre case – sostiene un uomo – Con le pompe dei giardini, con l’acqua presa dai serbatoi. Il vento portava le fiammelle dentro agli appartamenti. È stato un inferno, non si poteva respirare. E poi noi lo sappiamo cos’è che respiriamo, è tutto amianto», conclude. «I risultati si vedono – interviene una donna – L’amianto cos’è che fa venire? Le cose ai polmoni, giusto? Sono almeno dieci anni che respiriamo questa polvere, in famiglia si vedono già i primi casi di malattie». 

Luisa Santangelo

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