Alzheimer, scoperta la possibilità di diagnosticare in anticipo la malattia

LA GEORGETOWN UNIVERSITY DI WASHINGTON HA SCOPERTO COME DIAGNOSTICARE LA MALATTIA CON CIRCA 3 ANNI DI ANTICIPO

di Viviana Di Lorenzo

In tutto il mondo i malati di Alzheimer sono ben 35 milioni. E’ ormai noto a tutti che si tratta di una grave malattia invalidante, che porta il paziente ad un lento declino della sua memoria, sia a breve, che a lungo termine, fino a manifestarsi con l’incapacità di riconoscere i propri cari. Purtroppo, non esiste una cura che debelli questa malattia, ma vi sono dei farmaci che possono rallentare il suo decorso.

La Georgetown University di Washington, ha scoperto, grazie ad una ricerca, che è possibile, con una semplice analisi del sangue, diagnosticare anche fino a 3 anni prima l’insorgenza di tale patologia. L’analisi in questione riesce ad identificare 10 tipi di lipidi, ovvero di grassi presenti nel sangue, grazie ai quali è possibile capire se il paziente contrarrà o meno la malattia; se il livello di grassi è più basso del normale, la persona si ammalerà.

Tale scoperta è senz’altro importante, in quanto permette agli attuali farmaci presenti in commercio di migliorare la loro efficacia, se assunti con anni di anticipo. Inoltre, la ricerca e la somministrazione di nuove cure, come ad esempio un vaccino, potrebbe risultare certamente migliore se si interviene prima che la malattia inizi a manifestarsi.

L’Alzheimer non solo distrugge la memoria del malato, ma disintegra il nucleo familiare. Spesso i parenti non sanno come affrontare la malattia come aiutare concretamente il malato e per questo hanno bisogno di aiuto da parte di esperti, che sanno come affrontare il decorso della patologia.

I sintomi, talvolta, sono poco chiari ed individuabili con difficoltà dalla famiglia del malato. L’Alzheimer distrugge lentamente le cellule del cervello ed è per questo che il primo segnale è quello di non riuscire a ricordare eventi avvenuti di recente.

Questi problemi, rischiano di passare inosservati: dunque l’intervento della medicina risulta a volte ritardato proprio a causa del fatto che non ci si rende conto della presenza della malattia. Tale ritardo porta la famiglia a trovarsi incapace ed impreparata nel gestire il malato e affrontare le difficoltà, che nel tempo diventano via via maggiori.

Generalmente, in un primo momento il paziente viene curato in casa dal suo nucleo familiare, ma l’elemento più grave spesso è quello che, con il tempo, la convivenza diventa difficile, perché la persona non riconosce più i suoi parenti e si sente spaesato in un ambiente a lui sconosciuto.

Ecco perché i familiari ricercano e ricorrono, laddove abbiano le possibilità economiche, a strutture che possano ospitare il malato, perché anche loro dal punto di vista psicologico, affrontano uno stress tale, che può sfociare in una depressione. Molti casi di cronaca ne danno atto, testimoniando il momento di grave sofferenza vissuto dai coniugi o parenti che, spesso, fanno dei gesti drastici, come uccidere il malato per la difficoltà di accettare tale malattia nella vita quotidiana.

È una sofferenza grandissima vedere la persona a noi cara, spesso un genitore, un fratello o un coniuge vivere in una sua dimensione irreale, che lo porta a dimenticare completamente tutta la sua vita.

Il malato ha bisogno di tenere la sua mente in continuo allenamento, con attività manipolative o di lettura, ha bisogno di continui stimoli che gli permettano di esercitare il cervello con attività ricreative, che lo aiutino ad utilizzare al meglio le cellule cerebrali.

Questa nuova scoperta è una svolta importantissima che potrebbe migliorare la vita del malato e della sua famiglia, perché tale consapevolezza permette di affrontare e conoscere la malattia, imparando a convivere con essa e con gli aiuti che la medicina oggi offre loro.

 

Redazione

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