In un settore in cui i dipendenti con contratti precari «lavorano qui da cinque anni» e nel quale «basta che in un Paese straniero c’è un gruppo che parla italiano, le aziende si trasferiscono», quasi non desta scalpore l’ultimo allarme. È quello che vede protagonista ancora Almaviva, l’azienda di call center di Misterbianco. Dopo la vertenza per il pericolo di una delocalizzazione inizialmente annunciata da Vodafone e i tagli agli esuberi, adesso i rischi riguardano Wind. «Il problema è per 25 precari, tra cui molti storici», spiega Natale Falà, rsu Cgil. Complice la diminuzione delle chiamate dirette ai centri assistenza della compagnia e l’applicazione della legge Fornero, «di mese in mese, fino a che non vengono definiti volumi stabili, l’azienda può tenere in stand-by i lavoratori», non rinnovando così i contratti. «Per 25 potrebbe non esserci posto».
Ma a essere in pericolo non sono solo i lavoratori legati a Wind. «La situazione è catastrofica», afferma con durezza Falà. Negli ultimi anni sono stati tagliati 500 posti di lavoro e per molti sono stati stipulati contratti di solidarietà al 25 per cento. «Fino a due anni fa facevamo molti straordinari e avevamo bisogno degli interinali». Un grande flusso di chiamate e a gestirlo ha contribuito in buona parte l’azienda di Misterbianco. «In tutta Italia siamo diecimila», 1800 dei quali impiegati nel Catanese, 1200 con contratti a tempo indeterminato – «un lusso», quasi un’anomalia, li definisce il dipendente – e 600 precari.
«Non è un mondo facile quello dei call center – spiega l’rsu – Con le aziende che cercano di risparmiare e il traffico ridotto del 50 per cento». Tra risponditori automatici e servizi di assistenza online, i consumatori vengono sempre meno a contatto con gli operatori. E molto spesso dall’altra parte della cornetta risponde personale straniero. Tre sono i nemici principali del settore, a cominciare proprio dalla delocalizzazione alla quale è legato anche il rischio della condivisione dei dati protetti da leggi sulla privacy che spesso non coincidono con quelli vigenti in Italia e nell’Unione europea, «ma ai lavoratori italiani vengono imposti standard altissimi». Il secondo ostacolo viene poi da una fonte insospettabile, lo Stato, con gli incentivi ai contratti a tempo determinato. Il colpo di grazia viene infine dalle commesse ottenute con aste a massimo ribasso che permettono alle aziende di aggiudicarsi contratti convenienti con il minimo investimento.
«Servono delle regole in questo settore», scandisce Natale Falà. L’ultimo intervento risale al 2006, «con la mai troppo ricordata circolare Damiano». Con l’intervento di Cesare Damiano, ministro del Lavoro del governo Prodi, «vennero assunti tutti i precari, si è posto rimedio a una situazione grave, ma non si è mai regolarizzato». A rendere la situazione molto più difficile è la particolarità del territorio. «Se chiude un’azienda in Lombardia non ci sono enormi problemi – analizza il sindacalista – Ma se accade qui è una carneficina, una guerra sociale».
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