Una «bomba ambientale» all’asta per 14 milioni di euro. Dopo il fallimento decretato nel 2016, si è consumato in questi giorni un passaggio decisivo per il futuro del più importante simbolo di un’epopea industriale catanese ormai più che tramontata. Lo stabilimento abbandonato del gruppo Fratelli Costanzo spa situato a Misterbianco è in vendita e c’è tempo fino al 27 giugno prossimo per presentare un’offerta. Non finisce qui: molto presto finiranno sul mercato anche gli ultimi residui dell’impero imprenditoriale del cavaliere del lavoro Carmelo Costanzo e del fratello Gino. A breve, come apprende MeridioNews, dovrebbero infatti essere bandite le aste per immobili come, fra gli altri, il bowling di piazza Santa Maria di Gesù a Catania, l’ipermercato di Ognina e il complesso di capannoni devastati dall’incuria di contrada Codavolpe, a sud della città. Quella dei Costanzo è stata però una storia ricca di ombre, messe nero su bianco nel 1983 da Pippo Fava con la storica definizione di cavaliere dell’apocalisse mafioso attribuita a Carmelo Costanzo. E nonostante le assoluzioni nei processi restano i racconti dei principali pentiti di Cosa nostra. A partire dai rapporti tra Gino Costanzo e gli storici boss Giuseppe e Antonino Calderone. Proprio la sede di Misterbianco è entrata in numerosi racconti di collaboratori di giustizia come palcoscenico dei faccia a faccia con pezzi da novanta della famiglia Santapaola-Ercolano.
A sovrintendere alla procedura, pubblicata lo scorso aprile, il tribunale di Catania attraverso i curatori fallimentari Simone Melato, Giacomo Giustolisi ed Enrico Giucastro. Sul loro tavolo una catena di quindici fallimenti di società legate al gruppo Costanzo – solo quello di Telejonica è stato revocato – nel cui ventre rimane circa il 30 per cento della ricchezza originaria. Il restante complesso di beni era già stato smembrato e venduto nel periodo dal 1996 a circa due anni fa, ovvero l’arco della lunga fase di amministrazione giudiziaria del gruppo. Più o meno vent’anni, segnati dalla dissoluzione di un aggregato industriale che, indotto compreso, superava le duemila unità lavorative. Tutte particelle di una galassia che ruotava intorno ai 407800 metri quadrati di stabilimento – più o meno un quinto di quello Fiat a Mirafiori – con ingresso da corso Carlo Marx, nel cuore della zona commerciale di Misterbianco.
Dei fasti di un tempo, come anche la cronaca ha documentato a più riprese, non c’è più traccia. Degrado che si aggiunge alla crisi irreversibile di un territorio fino a un decennio fa florido di commerci e imprese, oggi un buco nero di capannoni in affitto e pochi imprenditori impegnati in una strenua resistenza. Elementi tutti allineati nella dettagliata relazione sulle attuali condizioni dell’ex stabilimento Costanzo agli atti della procedura d’asta. La firma un consulente del tribunale, l’agronomo Luciano Marino, autore di una complessa stima del valore dell’opificio che mette assieme vari elementi. Il primo è appunto la posizione geografica, croce e delizia. Da un lato la vicinanza alla tangenziale e alla circonvallazione di Catania, dall’altro «l’involuzione» della zona commerciale di Misterbianco che fa crollare il valore di immobili in buono stato, figurarsi di fabbricati realizzati quarant’anni fa e privi di custodia e manutenzione da più di un decennio.
L’insieme di capannoni, uffici, viabilità e depositi di oltre centomila metri quadrati coperti sorge nelle contrade Pezza Mandra e Mezzocampo, sottozona D1 del regolamento edilizio comunale, aree destinate ad attività produttive artigianali, commerciali, industriali. I progetti degli acquirenti non potranno deviare da tali finalità. A ridosso dello stabilimento, altri scheletri della prosperità economica perduta come il molino Bucolo o segni di recenti speranze come il cantiere della fermata della metropolitana, sotto la dismessa Torre Tabita. Più in là l’assai popoloso quartiere periferico di Montepalma costruito, in gran parte abusivamente, negli anni del boom edilizio etneo. Gli stessi durante cui l’ascesa del gruppo Costanzo pareva destinata a non esaurirsi mai. A Misterbianco il colosso delle costruzioni mandava in scena di una sorta di autarchia produttiva oggi quasi impensabile. La materia prima convergeva nei capannoni per trasformarsi in vari elementi, dalle imponenti travi precompresse ai semplici infissi, fino ai container per i vari cantieri delle miliardarie commesse in giro per l’Italia. Di scarti e residui di lavorazione sul sito ne sono stati censiti a centinaia ancora oggi. Materiali di risulta e rifiuti speciali come eternit, oli combustibili, isolanti, rifiuti misti, vernici completano il quadro della «bomba ambientale» per la cui bonifica l’agronomo Marino ha stimato un costo di circa quattro milioni di euro. C’è poi l’incognita delle grandi cisterne sotterranee, non ispezionate ai fini della relazione.
Tali somme sono state defalcate dalla valutazione potenziale di partenza di 24 milioni che, assieme alla svalutazione determinata dalla crisi economica e da anni di «disuso, assenza di manutenzione, atti vandalici e distruzioni perpetrate da ignoti», fanno scendere il valore dell’ex stabilimento ai 14 milioni fissati dal tribunale. Alcuni capannoni sono privi di tamponature e coperture, dagli uffici sono stati portati via impianti e suppellettili, mentre quello che resta non è più a norma. In passato sono stati numerosi gli episodi di «selvaggio accanimento» da parte della criminalità per portare via qualsiasi tipo di materiale rivendibile.
L’asta ammette anche offerte pari al 75 per cento della base di partenza, per cui anche 10 milioni potrebbero bastare già a giugno. La sensazione però è che non mancheranno le chiamate deserte, sebbene sembra che al tribunale il terreno sia stato sondato da diversi potenziali investitori. Non è difficile ipotizzare che alcuni di loro restino alla finestra, in attesa di ulteriori cali della base d’asta.
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