“Alla Sicilia serve un Governo coeso, forte e autorevole. Altrimenti…”

Si riunisce oggi a Palermo la direzione regionale del Partito democratico siciliano. Per l’occasione abbiamo intervistato Franco Piro. Stiamo parlando di uno dei dirigenti storici della Sinistra siciliana. Oggi Piro è il portavoce di un ‘Correntone’ del Nuovo corso del Pd dell’Isola che raccoglie adesioni in tutte le province siciliane.

Con lui iniziamo una chiacchierata a trecentosessanta gradi.

Con quello che sta succedendo a Messina, nel complicato mondo della formazione professionale, non possiamo che partire da lì.

“Già, Messina – ci dice Piro -. La mia opinione è che stanno venendo al pettine tutti i nodi che sono stati per troppo tempo trascurati, Mi riferisco alla malapolitica e al malaffare. Non è una storia nuova. Non dimentichiamo quello che è successo al Ciapi di Palermo. E, prim’ancora, nel mio Partito, i casi di Vitrano e Bonomo, due parlamentari regionali del Pd – uno dei quali arrestato – finiti in una brutta storia giudiziaria con sullo sfondo le speculazioni sulle energie alternative. Poi, come ho già detto, il Ciapi di Palermo, con il coinvolgimento di Francesco Riggio. E adesso la bufera di Messina”.

In verità, la formazione professionale, o meglio, il rapporto tra questo settore e la politica è da tempo un problema, almeno in Sicilia.

“Per l’appunto. E’ u     n problema serio. Che avrebbe dovuto essere affrontato prima. Invece siamo finiti a rimorchio della magistratura. Non mi sembra che la politica siciliana, nel suo complesso, abbia fatto molto su questo versante”.

Ovvero?

“C’è un problema di ricerca del consenso che non funziona proprio. C’è, nella formazione professionale della Sicilia, un grande conflitto di interessi. Che, sia chiaro, non riguarda solo il Pd. Va riaffermato un principio generale: chi svolge attività politica non deve avere altri interessi”.

C’è anche un problema di vigilanza, da parte della politica, non crede?

“Sono perfettamente d’accordo. La vigilanza non c’è stata. E’ un problema generale che tocca da vicino il mio Partito. La verità è che nel Pd siciliano hanno posto le questioni dei Crisafulli e Papania, in modo piuttosto rozzo e forzato. E poi hanno lasciato immutato tutto il resto. I risultati si vedono. Sotto tutti i punti di vista”.

Cioè?

“Guardiamo al caso della formazione professionale. C’è stata una gestione insufficiente da parte della segreteria regionale del Partito. Mi riferisco al segretario regionale, Giuseppe Lupo. Non mi pare che abbia fatto qualcosa. La vicenda di Messina gli è franata addosso. Non c’è stata, l’ho già detto, né vigilanza, né prevenzione. Lo stesso discorso vale per l’attività politica in generale”.

A cosa si riferisce?

“Alle recenti elezioni comunali. Che, per il Pd siciliano, non sono andate bene. Anzi. Certo, abbiamo eletto tanti Sindaci in coalizione. Ma il Partito, in Sicilia, dov’è? Noi abbiamo il dovere di guardarci in faccia e dire la verità. E la verità è che, nell’anno di grazia 2013, in pochissimi Comuni dell’Isola il Pd ‘viaggia’ con la doppia cifra. Per non parlare delle due tremende batoste ai ballottaggi di Messina e di Ragusa. Il risultato delle elezioni di Messina lo abbiamo ‘letto’ male. C’erano già tutti i prodromi di quello che sta succedendo in questi giorni. A Ragusa, poi, abbiamo proposto, anzi imposto al nostro elettorato un candidato di scuola cuffariana. Costringendo, di fatto, i nostri elettori a votare per il candidato del Movimento 5 Stelle”.

La sua ricetta?

“Cambiare, cambiare, cambiare. Serve un cambiamento fortissimo. In Sicilia il Pd ha enormi potenzialità culturali, sociali, politiche ed elettorali. Tanta gente che vorrebbe avvicinarsi al nostro Partito e che viene respinta. Così non funziona. Dobbiamo fare fruttare le idee. Dobbiamo aprire alla società siciliana che dal nostro Partito si aspetta tanto. Abbiamo una responsabilità storica che non possiamo tradire. Ma per cogliere queste opportunità dobbiamo cambiare. Diciamocelo: oggi, al di là dei momenti istituzionali, il Pd siciliano non è presente in Sicilia”.

Parliamo dei rapporti con il Governo regionale di Rosario Crocetta.

“Il Pd siciliano, rispetto al Governo Crocetta, deve assumersi le proprie responsabilità. Due gli argomenti da affrontare. Primo: ci vuole un progetto politico per il rilancio della Sicilia che oggi non c’è. E noi abbiamo il dovere di elaborarlo insieme con i nostri alleati politici e di Governo. Secondo: dobbiamo assumerci le nostre responsabilità politiche. Non è pensabile che Confindustria Sicilia, che non è un Partito politico, sia presente nel Governo, mentre il nostro Partito è fuori. Questa è un’anomalia che va sanata”.

E i rapporti con il Megafono?

“Su questo fronte va fatta chiarezza. Lo abbiamo già detto circa un mese fa, quando si è costituito il ‘Nuovo corso del Pd’: il Megafono del presidente Crocetta e del senatore Lumia è un soggetto politico autonomo? Bene, prendiamone atto. Purché tra Pd siciliano e Megafono ci sia una netta distinzione. Non possiamo continuare a confondere i nostri dirigenti locali, i nostri iscritti e i nostri simpatizzanti”.

Parliamo dell’acqua. A due anni dal referendum che ha sancito il ritorno all’acqua pubblica chiesto dai cittadini italiani con il referendum non è stato fatto molto.

“Io sono favorevole alla gestione pubblica dell’acqua. Ma per passare dalle parole ai fatti, con riferimento alla Sicilia, dobbiamo avere il coraggio e la forza di prendere il toro per le corna. Il primo nodo da sciogliere è quello di Sicilacque. Va rescisso il contratto con questa società. Peraltro, si tratta di un contratto-capestro, dove i privati di Sicilacque hanno tutto da guadagnare e la Regione ha tutto da perdere. Dobbiamo avere la forza e l’intelligenza per chiudere questo inglorioso capitolo limitando al minimo i danni per la Regione. Il secondo nodo da sciogliere è rappresentato dai contratti con i privati. Contratti che, anche in questo caso, vanno rescissi. Lavorando sulle motivazioni giuridiche corrette. Se non sciogliamo questi due nodi tecnico-giuridici facciamo solo chiacchiere. Risolti questi problemi, va costituito un ambito unico regionale”.

Sul Muos di Niscemi abbiamo una novità: la sceneggiata napoletana dell’Istituto superiore della sanità. Adesso le onde elettromagnetiche non fanno male. Quasi quasi fanno bene all’anima e al corpo. E magari sono pure dietetiche…

“Sul Muos sono stati commessi troppi errori. Intanto è dannoso per la salute. E non sta in piedi nemmeno sotto il profilo delle autorizzazioni. Rimango dell’avviso che il Muos non è compatibile con la Sicilia”.

Passiamo alla situazione finanziaria della Regione. Lei, nel passato, ha ricoperto il ruolo di assessore regionale al Bilancio. La situazione la conosce.

“La situazione finanziaria della Regione siciliana è grave. Anche perché, nel tempo, come hanno sottolineato giustamente i magistrati della Corte dei Conti, è stato fatto incancrenire il problema dei residui attivi. La storia di queste entrate incerte che si accumulano e crescono non è nuova. Noi, nel passato, ce ne siamo occupati costituendo quelle garanzie che, oggi, la Corte dei Conti ci invita a rimettere in piedi”.

Come si fa a venirne fuori?

“Mettendo a punto un serio progetto politico. Ma per fare questo ci vuole un a maggioranza politica coesa. E un Governo politico autorevole e forte. Risolti questi problemi a monte, va studiato un piano decennale di rientro. Se andiamo a Roma con un serio piano decennale di rientro, anche in condizioni difficili come le attuali, il Governo nazionale ci aprirà le porte. Ma dobbiamo essere seri e credibili”.

Sulla sanità siciliana c’è molta confusione. Resta irrisolta la questione delle accise sui consumi di idrocarburi che lo Stato ci continua a negare.

“Anche su questo fronte serve pragmatismo. Guardiamo la situazione attuale. La Regione siciliana interviene, alle spese sanitarie, con una quota di compartecipazione pari al 49,11 per cento. Sono circa 4 miliardi di euro. Un altro miliardo e 856 milioni di euro arriva dall’Irap. A queste somme va sommata l’addizionale Irpef. Bene, conti alla mano, lo Stato, per la sanità pubblica siciliana, interviene con 2 miliardi e 188 milioni di euro. E’ in questo scenario che va affrontata la questione delle accise”.

Come?

“Qui, da tempo, si scontrano due interpretazioni. La prima è quella della Regione. Noi chiediamo le accise per riprenderci il 7 per cento in più di quota di compartecipazione alle spese che lo Stato ci ha rifilato. Roma risponde: siamo disposti a riconoscere le accise, ma insieme a queste la Regione siciliana si deve prendere altre competenze”.

Quali?

“Insomma, per quello che ho capito, lo Stato è pronto a riconoscerci le accise a patto che la Regione si accolli i 2 miliardi e 188 milioni di spese sanitarie oggi, come detto, sostenute dallo Stato”.

Insomma: con questo contenzioso finanziario con lo Stato la Regione ci perde o ci guadagna?

“Il problema è politico. Ed è complessivo. Va visto insieme con l’applicazione degli articoli 37 e 38 dello Statuto”.

Sull’articolo 37, in verità, è stata fatta, da parte del Governo Crocetta, e soprattutto dell’assessore all’Economia, Luca Bianchi, un po’ di confusione…

“C’è stato il tentativo di infilare nell’articolo 37 dello Statuto cose che non c’entrano affatto con lo stesso articolo 37. Lì è stato molto bravo il nostro parlamentare, Angelo Capodicasa, che è riuscito a riprendere una situazione che si stava mettendo male. A mi avviso, per affrontare questi problemi, dobbiamo partire dall’analisi fatta dal professore Brancati nel 1997. Dopo un’attenta analisi finanziaria, il professore Brancati è arrivato alla conclusione che i soldi erogati alla Sicilia sono insufficienti. E’ da lì che bisogna ripartire. Con una premessa: che, per trattare con Roma, ci vuole un Governo regionale coeso, autorevole e forte. Altrimenti non abbiamo dove andare”.

Ultima domanda sui precari siciliani. Si parla di questa proroga fino al 31 dicembre di quest’anno. Ci riferiamo ai 23 mila precari degli enti locali e non a tutti i precari siciliani. Servono almeno 130 milioni di euro. Noi, con tutta la buona volontà, nel bilancio regionale non vediamo questi soldi. Anche alla luce delle richieste della Corte dei Conti…

“Il problema c’è, ed è serio. Quello del 2013 è un bilancio regionale costruito sulle palafitte. E’ un tema politico che dovrà essere affrontato nel quadro di un dialogo costruttivo con il Governo nazionale. Ma, lo ripeto ancora una volta: serve un Governo regionale autorevole. Altrimenti…”.

 

 

Giulio Ambrosetti

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