Alla ricerca di un alter-ego virtuale

La dipendenza da internet è riconosciuta ufficialmente come un disturbo mentale, al pari di una schizofrenia o di uno sdoppiamento della personalità. Negli Usa ci sono stati molti casi classificati sotto il nome di Iad (Internet Addiction Disorder), pertanto non dovremmo stupirci se alla vita quotidiana si sostituisse una del tutto fittizia, fatta di tasti e schermo. È un fenomeno tanto conosciuto quanto diffuso.

Abbiamo indagato tra studenti, chiedendo quale sia il loro rapporto con la rete, quanto e come la frequentano, con quale scopo e per quanto tempo. Alcuni di loro (soprattutto studenti fuori sede) ci hanno risposto che non ne fanno un grande uso se non quello necessario all’aggiornamento personale sulle ultime notizie, tramite Internet point occasionali dove frequentano perlopiù siti d’informazione, facilmente accessibili. Precisano che non impiegano mai più di un’ora in rete, soprattutto perché non possiedono un loro computer.

Molti altri, circa il 60% degli intervistati, ci hanno fatto intendere che il loro uso della rete non è sporadico né breve, è finalizzato sia alla conoscenza in senso stretto – ci si butta a capofitto su alcuni siti persino per studiare – sia all’incontro virtuale di amici e conoscenti, fermi a parlare per ore e ore tramite le celebri chat. Nonostante la conversazione virtuale non sia del tutto spontanea, ci viene confermato che lo sviluppo di un dialogo è esattamente identico a quello che si verifica tra due persone che si vedono e si sentono realmente.

Ma allora, la differenza tra questa comunicazione e una comunicazione vis-à-vis qual è? Dietro lo schermo, cambia tutto, dicono. Ci si protegge, ma da cosa, da chi?

Premettendo che non tutti utilizzano tecnologie avanzate come webcam e microfoni, sembra che sia più facile conoscere persone senza che ci si veda veramente, perché si è liberi di scrivere ciò che si vuole incuranti delle conseguenze.

Chiediamo allora ad alcuni studenti quali vantaggi ha questa comunicazione rispetto a quella tradizionale.
Simona ci dice: “ è facile comunicare perché non c’è il rischio che qualcuno ti veda, puoi dire tutto quello che frontalmente ad una persona non diresti mai, di certo nessuno ti identificherà”.
Anna invece: “è squallido dirsi qualcosa in chat, anche se devo ammettere che la uso quotidianamente per chiacchierare con i miei amici pur trovandoci in città differenti, sicuramente riduce le distanze”.
Claudio: “devo ammettere che mi capita spesso di chattare, soprattutto per comunicazioni veloci, risparmio sul costo di un messaggio o di una chiamata al cellulare”. Ivan: “tramite le chat puoi osare con le parole, nessuno potrà dirti nulla, non sanno chi sei, non sanno come ti chiami, ti nascondi dietro un nickname e il gioco finisce quando stacchi”.

Da questi interventi i giovani ci fanno intendere che chat e forum sono molto usati soprattutto per disinibirsi, superare il pudore, la vergogna, l’imbarazzo di un approccio. Crearsi un alter-ego privo di responsabilità, è lo scopo. L’uso della rete, però, potrebbe trascendere dal semplice e momentaneo ruolo di “scudo” e potrebbe trasformarsi in una vera e propria dipendenza, incollandoci tutti agli schermi, proibendoci qualsiasi altra attività. La rete cattura l’attenzione, è colorata, è dinamica, è spiritosa, è pensata appositamente per trattenere tutti i visitatori. È logico come anche le numerose chat e i forum abbiano questo intento; vogliono catturare l’attenzione di giovani e meno giovani, mettendoli in contatto anche se fisicamente molto lontani, instaurando un rapporto temporaneo, fatto di frasi costruite, pensate, calibrate. Sono legami illusori. Spento il computer, chiusa la connessione, finisce tutto.

È questo quello che vogliamo? Vogliamo legami brevi, senza responsabilità, senza vincoli? Internet e i suoi “figli” sembrano essere la prova di un mondo che non si fa più domande, un mondo che ha paura di soffrire, un mondo che nei legami fittizi e silenziosi, cerca la vita facile. 

Mavie Fesco

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