Alla ricerca del cambio perduto – Prima parte: Dal Gold Standard alla Grande crisi

Alla fine della prima guerra mondiale molte potenze tornarono ad adottare il sistema aureo, che avevano temporaneamente sospeso per far fronte alle spese militari.

La convertibilità della propria moneta in oro aveva permesso alle economie nazionali di ottenere i vantaggi dei cambi fissi negli scambi internazionali, ma a discapito delle classi lavoratrici. Il vincolo valutario obbligò i paesi che l’adottarono ad applicare politiche economiche impopolari, essenzialmente destinate a tenere i salari bassi, in modo da mantenere competitivi i prezzi delle merci prodotte.

Tra gli altri fu proprio John Maynard Keynes (a sinistra), che nel 1925 – qualche anno prima della grande depressione – a criticare aspramente la scelta di Winston Churchill di rivalutare la sterlina inglese riportando il valore del cambio a quello anteguerra, grazie appunto all’introduzione della parità aurea. Keynes, il cui pensiero avrebbe trovato piena maturazione successivamente con la “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, mise in guardia sui possibili fallimenti che avrebbe provocato quella politica valutaria, incapace, nel momento del verificarsi di uno shock esterno (come ad esempio il crollo dei valori borsistici), di compensare gli squilibri.

Diciamolo con le sue parole: “La decisione politica di rivalutare il cambio della sterlina riportandola alla parità aurea d’anteguerra, (…) significa che ogniqualvolta vendiamo una qualsiasi cosa all’estero o noi dobbiamo accontentarci del 10% di meno della nostra moneta o l’acquirente straniero deve pagare il 10% in più nella sua moneta.” Keynes accenna alle conseguenze per i lavoratori salariati e indirettamente sulla domanda interna: “Ora, se nelle nostre industrie le spese per salari, trasporti, interessi e tutto il resto, cadessero contemporaneamente del 10%, ci si potrebbe permettere una riduzione dei prezzi e le cose non andrebbero peggio di prima. Ma ciò non accade. Poiché queste industrie impiegano, e i loro dipendenti consumano, tutti gli articoli di produzione nazionale, è impossibile che riducano i prezzi del 10% a meno che non calino del 10% i salari e le spese di tutte le industrie nazionali”. (J.M. Keynes “Esortazioni e Profezie”)

Come sappiamo le  parole del grande economista britannico furono inascoltate e le conseguenze economiche della scelta di Winston Churchill, e di Sir Montagu Collet Norman il governatore della Bank of England di allora, furono disastrose. Con lo scoppio della crisi del 1929 i valori degli attivi aziendali crollarono in tutti i settori, la domanda interna decrebbe anche per via dell’applicazione delle politiche mercantiliste, il cambio fisso ci mise il suo peso e non aiutò certo ad attutire il colpo: disoccupazione e povertà dilagarono. L’Inghilterra che era ancora la massima potenza economica, insieme agli Stati Uniti fu alla fine costretta a sospendere il sistema aureo il 21 settembre del 1931 e a tornare ad un regime di cambi flessibili. 

Se qualcuno può aver notato delle similitudini con la crisi attuale.. beh,  sembreranno ancora più impressionanti se articoliamo maggiormente l’analisi del periodo storico attraverso i “Minsky moment”. Hyman Minsky era un economista americano che negli anni 80 elaborò il famigerato “modello d’instabilità finanziaria” per descrivere la fragilità del capitalismo novecentesco. Tale modello prevede che le fluttuazioni siano provocate da cambiamenti nella struttura dell’economia in termini di fragilità finanziaria ovvero di capacità delle imprese di onorare i debiti tramite autofinanziamento

Il grado di fragilità finanziaria delle imprese del ’29 fu individuato da Minsky nel cosiddetto “momento ultra-speculativo o Ponzi”: le imprese non riuscivano ad autofinanziarsi per pagare gli oneri finanziari e per onorare gli impegni si indebitavano ulteriormente, con le conseguenze che conosciamo. Se vi sembra la descrizione della bolla sub-prime e della bolla new economy non siete poi lontani dal vero.

Insomma, l’aggancio ad una moneta forte è un film che abbiamo già avuto modo di vedere e nulla di particolarmente nuovo rispetto a quello che troviamo nella letteratura o nella storiografia economica. Noi sappiamo come si è arrivati allo shock del 1929; sappiamo come si è arrivati a quelli successivi; sappiamo – soprattutto – che l’aggancio del valore della moneta all’oro o altro metallo o altra valuta non aiuta a sopportare gli shock esterni (come Keynes prefigurò nel 1925).

Il vincolo valutario e la finanza facile sono metodi che hanno affascinato gli economisti ortodossi e i politici occidentali durante tutto il secolo scorso. Ad ogni crisi, però, si è stati costretti ad abbandonare questi modelli, per riproporli successivamente. È successo per la crisi del 1929, è successo con gli accordi di Bretton Woods, è successo con lo S.M.E.

Succederà con l’Euro?

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Marco Palazzotto

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