Alla corte de I Vicerè

Sono in visita a Catania per la promozione del nuovo kolossal storico, destinato ad un grande favore di pubblico: un successo direttamente proporzionale alle polemiche che tale film ha già scatenato prima ancora di uscire in tutte le sale d’Italia. Si tratta dell’affascinante famiglia al centro delle intricate vicende de I Vicerè e Step1 ha incontrato qualcuno dei suoi componenti.

Consalvo è il giovane, bello e ambizioso erede degli Uzeda. Sin da bambino in perenne lotta con il padre, è un personaggio estremamente moderno per la sua complessità e contraddittorietà. In scena è stato interpretato da un convincente Alessandro Preziosi.    

“Per sconfiggere il male, il bene non basta”…Come bisogna interpretare la scelta finale di Consalvo: come la disfatta dopo una vita di lotte o l’ennesimo trionfo del male?
Beh, è sicuramente un trionfo ma del potere; una conseguenza amara però è così. Consalvo si trova davanti ad una non-scelta, a quello stato d’emergenza che impedisce di pensare a qualunque altra decisione. È chiaro che poi le giustificazioni e gli alibi possono essere infiniti, tuttavia per com’è raccontato il film quello sviluppo è la conseguenza di una scelta amara ma necessaria.

Come ti sei trovato alle prese con il dialetto siciliano?
Bene, mi ha sorpreso la naturale e spontanea inclinazione a parlare dialetto. Anzi, mi ha colpito la possibilità di soffermarsi, parlando in siciliano, su certi argomenti e riflettere su alcune parole, a differenza di quello che succede con altri dialetti.

Quale simbolismo si cela dietro ai guanti di Consalvo?
In effetti, ci abbiamo lavorato molto. “Sporcarsi le mani” è qualcosa che implica conseguenze irreversibili. Lui lo fa col sangue del suo migliore amico, e ancor prima con uno schiaffo che dà alla donna che pensa di amare. Da questo punto di vista, i guanti sono l’unico elemento simbolico della storia e alludono al fatto che per arrivare a conquistare certe cose di cui si necessita, bisogna sporcarsi le mani. Però questo avveniva più di un secolo fa, ci si augura che non debba più ripetersi oggi. 

Il padre di Consalvo è il Principe Giacomo, ovvero un brillante e divertente Lando Buzzanca. Personaggio dallo spessore shakespeariano e primogenito del casato, è lui che manovra i fili di tutta la famiglia.

“Il maligno è visibile, basta saperlo vedere”… La storia ruota attorno alla credenza nella superstizione e nel malocchio, essenza viva del suo personaggio che risulta molto buffo. Lei si è divertito ad interpretarlo?
No, in realtà ero molto serio. Avevo paura di distrarmi, perché io sono uno che gioca e poi sbaglia, finendo per inventare nuove parole… per esempio, dico “bellerrimo”! Come quando ho fatto “Il Merlo Maschio”: ho sbagliato un’intera scena e – come risultato – tutti ridevano tranne il regista, Pasquale Campanile, che era infuriato nero!

Che ne pensa di tutta la polemica scoppiata attorno al film, soprattutto in occasione della mancata inclusione alla Festa del Cinema di Roma?
La polemica è sempre un indizio di successo per un film. Ma in merito alla Festa del Cinema di Roma, secondo me è stato commesso un errore da parte loro. “I Vicerè” poteva essere un fiore all’occhiello del cinema italiano in un festival italiano, ed invece si guarda sempre oltreoceano. Tanto di cappello al cinema americano, ma se abbiamo un film come questo, che è vero cinema… facciamolo vedere!

Tra le donne spicca l’innocente Concetta, una dolce Larissa Volpentesta, calabrese di nascita e siciliana d’adozione. Interpreta la giovane popolana di cui il principino Consalvo si invaghisce durante la festa per la liberazione di Catania da parte dei garibaldini. 

Com’è stata la tua esperienza in questo lavoro?
Inizialmente ero intimorita per via delle scene ricche e forti in cui mi sarei dovuta cimentare e del maestro Faenza, che mi appariva un po’ burbero. Poi ho compreso le sue motivazioni ed il risultato è stato eccellente. Mi ha arricchita tanto a livello lavorativo. 

Tra gli interpreti maggiori del cast, i grandi assenti a Catania per la sponsorizzazione del film sono stati Cristiana Capotondi, Lucia Bosè e Guido Caprino.
Tutti hanno recitato in maniera corale, sulle note delle piacevoli musiche di Paolo Buonvino (“Romanzo criminale”, “Ricordati di me”) e coordinati da un bravo ed attento direttore d’orchestra: il regista Roberto Faenza. 

L’idea della rivisitazione cinematografica di questo capolavoro del genio catanese Federico de Roberto aveva già affascinato in passato grandi registi (Visconti, Roberto Rossellini, Bolchi), cosa l’ha spinta ad occuparsene?
La curiosità di scoprire il motivo per cui tanti avevano provato per poi desistere nell’intento, la sfida nel riuscire a farlo io e soprattutto la voglia di riscatto di un’opera letteraria che tutti gli italiani dovrebbero conoscere, ma che invece è stata censurata per oltre un secolo.

De Roberto, in effetti, e il suo capolavoro non sono inseriti solitamente nei programmi scolastici, ma per quale motivo secondo lei?
Probabilmente ha nociuto molto l’ostilità delle critiche idealiste di Benedetto Croce, per il quale “I vicerè” erano “un’opera pesante, che non illumina l’intelletto né fa battere il cuore”. E ancor di più ha nociuto al romanzo l’opposizione da parte dei due poteri forti del paese: la politica e la Chiesa, entrambi al centro degli scandali nel romanzo.

A proposito di quest’ultima, che ne pensa di certe espressioni e di tutta l’accusa non tanto velata al mondo dei monaci benedettini? Secondo lei, saranno condannate come blasfeme dal pubblico?
Per quanto discutibili possano risultare le scene “scabrose” al Monastero, io vi ravviso una dolorosa descrizione della degenerazione morale all’interno della quotidianità monastica. L’origine di tale male è da individuare però, a mio avviso, più nella costrizione dei figli cadetti dell’aristocrazia alla vita religiosa, e quindi alla mancanza di vocazione. Mi auguro che il film possa indurre a valutare sotto una diversa luce certe facili accuse.

Benedetta Motta

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