Alcune considerazioni sull’Instrumentum laboris del Sinodo sulla famiglia del 2014

da Andrea Volpe
riceviamo e volentieri pubblichiamo

La prima considerazione da fare sul prossimo sinodo dedicato a “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” è l’apprezzamento per la formula adottata: prima di pronunciarsi, la Chiesa vuole mettersi in ascolto delle voci che provengono dai livelli e dagli ambienti più disparati del mondo ecclesiale. Perciò anche l’Instrumentum laboris  (http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20140626_instrumentum-laboris-familia_it.html) si propone innanzi tutto di lasciar risuonare gli echi della consultazione indetta da papa Francesco sui temi più scottanti della famiglia, in una logica che non è quella della sociologia, ma fa riferimento al ruolo del sensus fidelium nella definizione delle verità della fede e della morale.

Proprio sotto quest’ultimo profilo, tuttavia, il documento lascia perplessi, e non tanto per l’inevitabile incompletezza (del resto prevista e riconosciuta dagli estensori al n.158) nel riportare le risposte al questionario, quanto per il taglio adottato nella loro lettura, che sembra aver privilegiato gli aspetti descrittivi e statistici, a scapito delle motivazioni e indicazioni di carattere etico e dottrinario, indebolendone così il significato teologico a favore di quello sociologico.

Entrando nel merito, è importante il fatto che l’Instrumentum, dopo aver preso atto che «la conoscenza dei documenti conciliari e post-conciliari del Magistero sulla famiglia da parte del popolo di Dio, sembra essere generalmente scarsa», ammetta che «questi documenti appaiono di difficile accostamento» e aggiunga: «Soprattutto, si sente il bisogno di mostrare il carattere esistenziale delle verità affermate nei documenti» (n.11). Può essere un punto di partenza per ripensare in generale l’approccio della Chiesa alla cultura e alla vita reale degli uomini e delle donne del nostro tempo.

Un’altra autocritica rilevante è il riconoscimento che spesso i pastori «non conoscono loro stessi in profondità l’argomento matrimonio-famiglia dei documenti, né sembrano avere gli strumenti per sviluppare questa tematica» (n.12).

Anche l’osservazione secondo cui «sarebbe necessaria una maggiore integrazione tra spiritualità familiare e morale» (n.13) non è senza rilievo, perché mette in evidenza il pesantissimo rischio di moralismo che nelle questioni della famiglia grava sull’insegnamento della Chiesa, come del resto ha denunciato papa Francesco (cfr. Evangelii gaudium n.39).

Così pure il rilevare «l’insufficienza di una pastorale preoccupata solo di amministrare i sacramenti» (n.15), è un’importante presa d’atto dell’assurdità di perseverare nel ritualismo imperante.

Non vengono però riportate le richieste, pur presenti in molte delle risposte ai questionari, di attualizzare l’insegnamento del Magistero – quello proclamato in modo reformabile – nei suoi contenuti. È un’opzione che, evidentemente, potrà essere accolta o respinta dai padri sinodali, ma che andrebbe tenuta presente e discussa, in questa fase preliminare, senza censure preventive.

Questa tendenza dell’Instrumentum a delimitare a priori il campo della riflessione sinodale si manifesta particolarmente nella trattazione delle questioni più delicate: le convivenze prematrimoniali (nn.81 ss.), l’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati (nn.89 ss.), le unioni tra persone dello stesso sesso (nn.113 ss.), l’uso di mezzi contraccettivi (nn.123 ss.). Su questi problemi sono certamente apprezzabili, ma insufficienti ad aprire un vero dibattito, il riconoscimento, da parte del documento, delle sofferenze umane che stanno dietro di essi, l’appello a un rinnovato stile pastorale, la richiesta di una più solida preparazione da parte dei presbiteri e di un linguaggio più adeguato alla sensibilità contemporanea. Questo modo di impostare le questioni finisce per mettere in ombra le tante critiche e i tanti suggerimenti emergenti dai questionari e rischia di scavalcare la risposta – di qualunque tipo essa sia – che i Padri sinodali sono chiamati a dare responsabilmente. Soprattutto rischia di presentare come un mero problema di approccio pastorale quella che invece oggi per la Chiesa è una grande sfida culturale, che le chiede di prendere sul serio le domande del mondo contemporaneo e di partire da esse per ripensare, senza tradirlo, il patrimonio dottrinale della tradizione (se ne accenna solo al n.117, a proposito della teoria del gender).

Si collega a questa esigenza di fondo anche la delicata questione della legge naturale. Al n. 30, il documento riconosce «la necessità di dare una enfasi decisamente maggiore al ruolo della Parola di Dio quale strumento privilegiato nella concezione della vita coniugale e familiare. Si raccomanda maggiore riferimento al mondo biblico, ai suoi linguaggi e forme narrative». Qui si tratta di un possibile cambiamento di registro – da quello filosofico a quello biblico – che ovviamente è ben più che una questione di forma e che sollecita un approfondimento non solo pastorale, ma dottrinale, da parte dei padri sinodali.

Senz’altro apprezzabile è, nel documento, lo spazio dato a quelle risposte che evidenziano «il legame fra apertura alla natalità e questione sociale e lavorativa» e la «responsabilità civile dei cristiani nel promuovere leggi e strutture che favoriscano un approccio positivo nei confronti della vita nascente» (n.131). Troppo spesso la famiglia è stata vittima di una retorica moralistica, che ha esonerato gli stessi cristiani dal promuovere sul piano politico le condizioni per la sua effettiva promozione.

Molto meno lo è la liquidazione del tema delle scuole cattoliche e dell’insegnamento della religione nelle scuole con una frettolosa “riconferma d’ufficio”, senza alcun riferimento alla necessità, anche in questo caso, di un radicale ripensamento del significato e dell’organizzazione di queste realtà istituzionali, per renderle davvero funzionali all’educazione e alla crescita della famiglia.

Complessivamente e alla luce delle se pur parziali e sintetiche considerazioni di cui sopra, appare che l’Istrumentum laboris solo in parte rispecchia le indicazioni pervenute dai fedeli, mostrando una chiara intenzione di ribadire in modo preliminare e precomprensivo quanto già affermato sul piano magisteriale, e nemmeno di tutto il Magistero, come, per esempio, nel caso dell’Humanae Vitae, della quale ignora che, da parte di diverse Conferenze Episcopali, fu oggetto immediato di molte osservazioni, che lo stesso Papa Paolo VI non volle mai sconfessare (v. L. Sandri (a cura di), Humanae Vitae e Magistero Episcopale, Edizioni Dehoniane, Bologna 1969). Di fatto, questo verrebbe a vanificare non solo la consultazione del Popolo, ma anche la stessa metodologia dei lavori sinodali e mette a rischio l’autonomia pastorale dei Padri sinodali.

Relatori:

Salvino Leone – Docente di Teologia morale e Bioetica alla Pontifica Facoltà Teologica di Sicilia

Lia e Giuseppe Re – Direttori Pastorale Familiare della Diocesi di Palermo

Giuseppe Savagnone – Direttore Pastorale della Cultura della Diocesi di Palermo

Andrea Volpe – Teologo biblista

Redazione

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