Cultura e spettacoli

Al Salone del libro di Torino, lo stand della politica siciliana. Cara Regione, un cartello «Minchia» faceva più cultura

Quannu è a siccu e quannu è a sacco (quando è troppo poco e quando è troppo). La Sicilia non ha moderazione. Si passa agevolemente, piroettando come ginnasti artistici sul cavallo con maniglie (dell’ammore), dalle mostre monstre di Manlio Messina a Cannes allo stand dell’assessorato ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana al Salone del Libro di Torino. Tanta magnificenza nel primo evento tanta, non saprei neanche come dire, tristezza, wannabismo, provincialismo nella seconda (la mia è una opinione, ovviamente, anzi, ancora meglio, un sentimento: di fronte allo stand della cultura della politica siciliana – perché di questo si tratta: di cultura maneggiata dalla politica – stavo per scoppiare in singhiozzi.

Voglio dire: la Sicilia, in un Salone del Libro, non ha bisogno di stand politici per essere presente. A parte il fatto che c’ero io, e dico io, con un libro pubblicato da Aboca Libri (una delle case editrici più in ascesa) e in bella mostra in quello che per ammissione di tutti è da qualche anno lo stand più bello del Salone (Il Bosco degli Scrittori), libro che parla (e fa parlare) un albero siculo per eccellenza: il carrubo (Il carrubo e l’unità di misura del diamante è il titolo). Dicevo: a parte il fatto che c’ero io e il carrubo, la letteratura siciliana è ovunque presente negli stand delle case editrici, soprattutto di quelle che non hanno bisogno degli assessorati per esistere. Per dire: la casa editrice Sellerio era installata in un megastand e pullulava di sicilianità autoriale. Ma la Sicilia era anche nello stand di Adelphi. Di Rizzoli. Di Mondadori. Insomma: negli stand delle case editrici più importanti, che scrivono la storia della Letteratura siciliana (e quindi mondiale – sono convinto che la Letteratura Siciliana non abbisogni di passare dalla Letteratura Italiana per diventare Letteratura Mondiale) la Sicilia di certo non mancava.

Faccio un breve ma illuminante inciso, l’ho già detto molte volte, ma repetita iuvant: una cosa è la cultura, altra cosa sono i beni culturali. Questi ultimi, essendo beni materiali sono soggetti al corrodere del tempo e degli agenti atmosferici, hanno bisogno di lampadine, di tetti, di botteghini, di tutto il burdillicchio infrastrutturale (e strutturale) che richiede: operai, elettricisti, operatori ecologici, cassieri, guide, piastrellisti, assessori. Capisco che sono cose che costano, ma di questo dovreste occuparvi.
La cultura è un’altra cosa, è un bene immateriale, risiede nel pensiero, e la politica dovrebbe starsene lontana. Anche perché, la politica, diciamolo con sincerità, con la cultura, perché dovrebbe volere averci a che fare? La cultura è una faccenda che, se gli gira, alla politica, la manda a quel paese (dalle pro-loco). Sempre meno, purtroppo, a dire la verità. Questo Salone del Libro ha avuto pochissimo libro e tantissima, troppa, politica. Anche gli scrittori sono diventati politici e mandano alla pro-loco una parte della politica per appoggiare la propria. Tutta una confusione di ruoli e pratiche e scritture che fanno male al libro, quello vero.

Lo stand della Regione siciliana, questa differenza non l’ha capita. E infatti ha voluto parlare di Goliarda Sapienza e delle Donne nella cultura siciliana, che non è il suo compito, ma lo è del mondo della cultura e non dei beni culturali. In altre parole, lo stand della Regione siciliana e dell’assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana avrebbe dovuto, in quanto beni culturali, occuparsi del racconto delle, non so, statue, templi, musei, parchi archeologici, teatri di pietra, non della letteratura, non è u’ so’ misteri va. A cchi vi ni mancunu cosi acchiffari auoddiri, ca auroa arrivunu i turisti e s’hana addannari pp’attruare un inficchipoint coi prosciu’ e ppi’ capiri quannu minchia i musei su apetti o chiuruti.

P.S. In quanto occupantesi anche di Identità siciliana, nello stand, bastava scriverci un MINCHIA bello grosso, o, visto che si parlava di donne, potevano abbiarci a lettere cubitali un bel PACCHIO. (Data la sensibbolità del gender di questa edizione del Salone potevano scriverci anche: «U’ PACCHIO IE’ DUCI E U’ PACCHIU JETTA ‘UCI»).

Ottavio Cappellani

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