Al Conservatorio Bellini la nuova Orchestra interculturale  «Aperti all’esterno e a chi viene dai centri di accoglienza»

Creare integrazione e interazione attraverso la musica, dando la possibilità a tutti, a prescindere da etnia e provenienza sociale, di studiare e fare musica interagendo e collaborando con gli allievi palermitani. È questo il principio che ha portato alla nascita dell’Orchestra interculturale del Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo e che, malgrado sia ancora un progetto in fase embrionale da perfezionare in vista dell’anno prossimo, ha già debuttato in grande stile partecipando all’opera Sahel andata in scena il 15 giugno al teatro Massimo. Un’opera che ha segnato il momento inaugurale di Manifesta 12 a Palermo e che, interamente africana e realizzata per la prima volta in un teatro d’opera italiano, è stata accolta con grande entusiasmo. Diretta per l’occasione dal regista Massimo Luconi, vanta un cast di interpreti di origine africana e le voci e la musica della neonata Orchestra interculturale, nata su iniziativa del presidente del Conservatorio, Gandolfo Librizzi.

                         

«Abbiamo tutti accolto con grande piacere ed entusiasmo questa idea», racconta a MeridioNews il direttore del conservatorio, Gregorio Bertolino. Un progetto nato l’anno scorso, che è tutt’ora in fase di realizzazione e che vanta una partnership proprio col teatro Massimo. «Partecipare all’opera non è stato l’inizio vero e proprio di questa Orchestra, ma ha sicuramente significato intraprendere un percorso in questa direzione. Faremo delle selezioni che saranno aperte all’esterno, in modo che possa partecipare a questo progetto anche chi non è iscritto al Conservatorio – spiega il direttore -. Si tratta di dare la possibilità di creare un’interazione fra i nostri allievi e gli allievi di varie culture, nell’ottica di un gruppo eterogeneo che lavori insieme, questo è il progetto finale. Inizieremo a settembre creando pian piano dei corsi. Non guarderemo all’età, chiunque potrà partecipare alle selezioni». Sarà, insomma, uno scambio reciproco. Non solo tra palermitani e migranti, ma anche fra stranieri stessi.

Come ha già anticipato l’Orchestra nella sua formazione iniziale andata in scena sul palco del Massimo, dove a esibirsi insieme sono state persone originarie del Mali, del Gambia, della Nigeria, del Senegal e così via, e che hanno imparato, con la guida dei docenti del Conservatorio, degli studenti, dei tutor e di artisti africani che si sono prestati al progetto, a conoscersi e a trovare punti di incontro. Uno scambio, però, anche con gli insegnati che si dedicano a questa idea. «In un periodo come quello attuale, di migrazioni forzate, questa credo rappresenti proprio un’iniziativa lodevole, che ha permesso anche a noi docenti di scoprire tanto e di arricchirci di storie e persone bellissime», racconta infatti il Maestro Fabio Ciulla, direttore anche del coro Il mio canto libero composto dai detenuti del carcere Di Bona-Ucciardone. «Le persone che si sono esibite nell’opera che ha dato il via a Manifesta 12, fortemente voluta proprio dalla fondazione olandese Claus che è la promotrice della biennale, sono tutte africane e provengono dai centri di accoglienza palermitani, ma ci sono anche stranieri di seconda generazioni nati qui – spiega il Maestro -. Una decina si sono occupati dei cori, in cinque-sei invece delle percussioni».

È lavorando tutti insieme che sono emerse le prime differenze, quelle che hanno rappresentato poi i punti di forza del gruppo e il maggiore arricchimento per chi ha contribuito alla nascita del progetto. «Abbiamo avuto modo di renderci effettivamente conto che esistono diversi usi, costumi, culture e lingue, e tradizioni anche, che abbiamo imparato a mettere in comunicazione. È stato bellissimo entrare dentro le etnie palermitane soprattutto, perché abbiamo scoperto che ci sono delle comunità stanziali di seconda generazione, come quella ghanese, fra le più belle – continua il Maestro Ciulla -. O scoprire che per alcune culture ad esempio il canto è una pratica riservata solo alle donne in chiesa e non agli uomini. La costruzione dell’opera Sahel è stata una sorta di verifica per tutti loro. Non sappiamo cosa accadrà dall’anno prossimo, ma abbiamo saputo che alcuni di loro hanno chiesto di fare l’ammissione ai corsi preaccademici e questa è per noi la cosa più bella in assoluto. Stiamo parlando di persone di diversi Paesi, integrazione non significa banalmente solo bianco-nero, ma creare interazione anche tra persone dello stesso colore. Se tutti stanno insieme e fanno una Compagnia, diventando un gruppo, vuol dire che c’è stata integrazione e questo è il successo più grande di tutti. Mentre noi abbiamo avuto la possibilità di conoscere storie e persone bellissime, forse siamo noi quelli più felici di tutti».

Silvia Buffa

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