Limitare gli accessi agli accompagnatori dei pazienti nell’area visite e controlli ancora piú intensi da parte delle forze dell’ordine. È questo, in sintesi, il quadro venuto fuori dal vertice in prefettura sulla sicurezza negli ospedali cittadini. Un faccia a faccia convocato dopo il blitz dei giorni scorsi da parte dell’assessore alla Sanità Ruggero Razza. Arrivato, a sopresa, nei locali del Pronto soccorso dell’ospedale Vittorio Emanuele. Nosocomio di frontiera dove si registrano sempre più aggressioni a medici e sanitari.
Proprio il personale, però, non sembra aspettarsi soluzioni definitive. Anche perché, a sentire chi ogni giorno lavora nei corridoi del pronto soccorso dell’ospedale cittadino, di soluzioni pratiche e immediate non ce ne sarebbero. Aumentare la sicurezza e disincentivare l’accesso al reparto d’emergenza per problemi banali – due strumenti spesso invocati da più parti – sarebbero solo delle toppe a un buco riassumibile con la crescente maleducazione degli utenti. A venire meno, negli ultimi anni, sembra infatti essere stato il rapporto di fiducia tra medico e paziente.
Intanto di pratico ci sarà una circolare, che probabilmente verrà emanata già domani dal questore, con cui verranno intensificati i controlli nell’ospedale di via Plebiscito. Il sistema si sicurezza durante gli ultimi episodi ha sostanzialmente retto con interventi veloci delle forze dell’ordine. Il problema però è tutto nella prevenzione. Come puoi anticipare le mosse di una persona che improvvisamente si alza e decide con le brutte di essere visitata? Diverso è il discorso quando si ragiona sugli accessi non autorizzati. Emblematico il caso del medico picchiato da una vera e propria banda.
Quello del Vittorio Emanuele è il pronto soccorso cittadino con il maggior numero di accessi: circa 65mila in un anno. Davanti a questi numeri, i casi di violenze – una media di cinque all’anno – non vengono vissuti dal personale medico e sanitario come un’emergenza. Per chi ci lavora sono piuttosto le conseguenze estreme di una situazione costante, risolvibile solo con un lungo percorso di educazione civica. Nemmeno aumentare la sicurezza sembra essere una medicina davvero efficace: le telecamere del pronto soccorso sono già collegate con la sala operativa della Questura e, al momento, il reparto è già dotato di due vigilantes 24 ore su 24, più uno dalle 10 alle 22, cioè la fascia oraria di maggiore afflusso. Eppure, a gennaio, niente hanno potuto contro un corpulento pregiudicato di cento chili che ha colpito due agenti.
Il vero nodo starebbe in un cambio generalizzato dell’atteggiamento dell’utenza. Dove una volta ci si affidava ai medici con rispetto del loro ruolo, oggi i pazienti, a sentire i racconti dei sanitari, arrivano già nervosi e sfiduciati. Convinti che un modo di fare maleducato e aggressivo porti più velocemente a soddisfare il loro diritto di essere curati. Solo in qualche caso questo clima di tensione costante si trasforma in un’oggettiva minaccia. «È un po’ come la questione dei docenti a scuola. Prima era inimmaginabile non solo che qualcuno venisse picchiato, ma proprio che la sua autorità venisse così tanto contestata dai genitori», commenta un camice bianco, per far capire come il problema sia più sociale che specifico. A maggior ragione in un pronto soccorso che raccoglie un’utenza spesso proveniente da situazioni di violenza. Come nel caso di venerdì: la 21enne che ha cercato di aggredire la dottoressa accompagnava una donna che, a seguito di una lite in famiglia, era stata presa a forchettate.
Domani intanto ci sarà un nuovo vertice interno al Vittorio Emanuele. Sul tavolo la proposta della Regione di limitare gli accessi nell’area visite ai soli pazienti. Bisognerà però capire come rendere in senso pratico la direttiva.
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