Affitti, tra questionari e sofa-sharing «I fuori sede ignorano i loro diritti»

Ventisette domande per capire i problemi degli studenti fuori sede che vivono in affitto e un sito internet –  Sofa Sharing – per condividere divani e posti letto tra universitari. Il Movimento studentesco catanese inizia un’altra battaglia e decide di combatterla con un questionario per approfondire il fenomeno e tanta informazione. Stavolta – oltre all’ateneo di Catania – le loro critiche sono rivolte ai «padroni di casa», colpevoli di aver «messo in atto una speculazione senza precedenti sugli appartamenti dati in affitto ai giovani che studiano lontani da casa».

«Quest’anno sono risultati idonei a un posto letto all’interno di una residenza universitaria circa 1600 studenti – spiega Agatino La Rosa del Movimento –. Ma di questi quasi 900 non ce l’hanno». L’Ente regionale per il diritto allo studio universitario, che gestisce le sedi di queste residenze e pubblica le graduatorie, ha a disposizione per l’anno accademico 2011/2012 solo 710 posti letto. «Decisamente troppo pochi rispetto alle richieste e privi di servizi – prosegue La Rosa –. Questo cosa significa? Che chi se lo può permettere va in affitto dai privati, chi non se lo può permettere rinuncia a seguire le lezioni e finisce per pagare le tasse solo per sostenere esami». «Oppure – interviene Matteo Iannitti, Msc pure lui – rinuncia a iscriversi all’università poiché si tratta di un investimento troppo costoso. Con questi presupposti, viene meno il diritto allo studio in sé».

Ma quella degli affitti – regolari, oltre che in nero – è una questione complessa, in continua evoluzione. È del 2011, per esempio, l’introduzione della «cedolare secca», che permette la registrazione del contratto da parte dell’inquilino, senza passare dal proprietario dell’immobile in affitto. «In pratica – continua La Rosa – uno studente che paga una stanza in nero può andare all’Agenzia delle Entrate, presentare i documenti necessari e ottenere un contratto 4+4 senza l’intervento del suo padrone di casa».

Un’altra possibilità è quella del «canone concordato»: deriva da un accordo territoriale tra Comuni e associazioni degli inquilini, che stabiliscono canoni mensili minimi e massimi in base alle caratteristiche di un immobile. Conviene? Pare di sì. «Il problema è la mancanza di informazione – denuncia Iannitti – Nessuno sa cosa può e non può chiedere, e noi siamo qui per informarli, oltre che per sottolineare una colpevole assenza delle istituzioni universitarie in quest’ambito. Borse di studio, posti letto, bandi vari ed eventuali: sono cose collegate, che colano a picco tutte insieme».

[Foto di walknboston]

Luisa Santangelo

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