Addio a Tony Soprano, l’antieroe cult

 

David Chase lo aveva scelto perché aveva uno sguardo triste e un sorriso disarmante che si mutava in un ghigno feroce. E anche perché la sua mole in sovrappeso gli ricordava quella di Jackie Gleason, il suo attore prediletto da bambino.

Chase, l’inventore de I Soprano, ovvero di quello show targato HBO che la Writers Guild of America ha di recente definito la serie televisiva “meglio scritta di tutti i tempi” (con uno straordinario finale “sospeso”) e che il New York Times a suo tempo additò come “la più grande opera della cultura pop americana dell’ ultimo quarto di secolo” ,adesso piange, insieme a mezzo mondo, la morte prematura del “geniale” suo collega- amico, James Gandolfini, stroncato a 51 anni da un infarto fulminante all’ Hotel Boscolo nella capitale del Belpaese dei propri avi.

È stato Chase, quattordici anni fa, a trasformare Gandolfini in Tony Soprano, nello spietato quanto depresso boss di Newark (New Jersey), incarnazione di una mafiosità, certamente feroce ma anche ordinaria e ridicola, inscritta nel ventre molle della società statunitense.

Descrizione di una mafia attivissima ma rovinosamente nevrotizzata (“Il cunnilinguo e la psichiatria ci hanno ridotti così !”- è una delle leggendarie battute del serial) dal confronto con una società “civile” sempre più eticamente inselvatichita. Tony “capo dei capi” di una strampalata gang che, come copertura per le attività criminali, utilizza un management denominato “Gestione dei rifiuti e ambiente”; Tony che nella piscina del suo maniero nella Essex County, dove vive da arricchito, nota un gruppo di anatre in cattività e sviene per un attacco di panico, sintomo di una patologia depressiva da curare con sedute psicoanalitiche nello studio di una dottoressa della upper class; Tony che prima bracca un delatore suo nemico, dopo avere accompagnato la figlia a scuola, e poi lo strangola con le proprie mani, giusto in tempo per tornare a riprendersi la pargoletta diventata il suo alibi; Tony macho sciovinista e sessuomane che si rivela debolissimo nel gestire il perenne conflitto con moglie e amanti; Tony con i nervi a fior di pelle nella guerra che l’oppone a nemici e amici ambiziosi e sanguinari; Tony maniacalmente ossessionato dall’ oppressiva presenza della crudele madre Livia che arriva a ordire un piano omicida ai suoi danni con l’aiuto dello zio Corrado, geloso del suo potere …

Nessuno più di Gandolfini avrebbe potuto dare credibilità e fascino ambiguo al protagonista del balletto di dualismi perversi che costituisce l’architettura di questo grottesco, sulfureo family drama, dichiaratamente ispirato alla poetica di Martin Scorsese, nel quale lo scrittore Norman Mailer intravide i segni di un perfetto romanzo d’inizio millennio, interpretandolo acutamente come il “grande quadro” di un’ America confusa, depressa e corrotta, peraltro concepito prima del fatidico 11 settembre.

Puntata dopo puntata, questo magnifico esemplare di Quality Telefilm ci ha raccontato, con lucido realismo, la metafora di una way of life mafiosa i cui elementi ideali, culturali, economici e politici sono ancora oggi organici al sistema valoriale dell’attuale civiltà post capitalistica.

La saga de I Soprano è andata in onda, per 86 episodi distribuiti in 6 stagioni, tra il 1999 e il 2007, girata in 35 millimetri con una speciale intensità autorale che attirò la stima di un esegeta del cinema-cinema come il regista Peter Bogdanovich.

Il successo popolare della serie è stato planetario, tranne in Italia dove non sono mancate le consuete polemiche sui “panni sporchi” ( fra gli altri, di quel campione di patriottismo che fu Gianfranco Fini il quale, durante un tour lungo la Quinta avenue newyorkese nel 2004, solidarizzò con gli ex broccolini, simbolo di tutti gli italoamericani, il cui “ruolo positivo non può essere scalfito da una serie televisiva che li ridicolizza”).

Da noi, I Soprano è diventato l’oggetto di culto di una élite avvertita, nonostante la scriteriata e punitiva programmazione inizialmente in seconda serata su Canale 5 e, in seguito, su alcune reti a pagamento.

Nonostante la fama da antidivo cool, la gratificante qualifica di sex-symbol e i tre Emmy Awards conquistati per l’interpretazione, James Gandolfini ha continuato a definirsi “un attore per caso”. Un attore di quella razza speciale e insostituibile che annovera talenti eccezionali come Lee Marvin, James Coburn, Warren Oates, Ernest Borgnine.

Era nato a Westwood da umili genitori italiani (padre parmense e madre napoletana) e aveva fatto la gavetta come barman e buttafuori prima di approdare a Broadway in due produzioni di marlobrandiana memoria come Fronte del porto e Un tram che si chiama desiderio. Il cinema lo corteggiò soprattutto come caratterista (lo ricordiamo in Get Shorty con John Travolta, in due non memorabili film di Lumet e in uno dei fratelli Coen, L’ uomo che non c’era, in Romance & Cigarettes di John Turturro e nel remake di Tutti gli uomini del re con Sean Penn). Recentemente, alternava la sua attività di attore a quella di produttore (specialmente di documentari: uno, Alive Days Memories, sui reduci della guerra in Iraq e l’altro, Warton:1861-2010, sui disturbi da post stress traumatico dei militari sui fronti dei conflitti made in Usa).

A parte i ruoli da lui ricoperti due anni fa nel premiato Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow e in Not Fade Away del suo mentore Chase, indimenticabile rimane la sua notevole performance da protagonista in Welcome to the Rileys (Usa/Gb 2010) di Jake Scott dove interiorizza le vicissitudini di un uomo comune che sfugge alla morsa della depressione familiare andando a vivere in casa di una sedicenne ribelle che fa la cameriera e si esibisce in uno strip club di New Orleans.

In queste ore, dopo la sua scomparsa, tutti fanno a gara nel ricordarne il carattere schivo e generoso, l’affettuosità di marito e padre all’antica, l’umiltà declinata in ritrosia, l’impegno culturale e civile. Ma di James Gandolfini, della sua presenza singolarmente umanissima di attore vero, rimane specialmente l’aura dell’icona che l’ha affidato all’immaginario nostro contemporaneo, quella del dannato “bravo ragazzo” Tony Soprano. Lo rivedremo all’infinito, il “suo” Tony, nella sequenza che apre ogni puntata della mitica serie (nel video la scena finale della serie), la sigla sulle note di Woke Up This Morning degli Alabama 3, mentre percorre in auto il Lincoln Tunnel a imboccare la New Jersey Turnpike, oltre l’aeroporto di Newark tra ciminiere, discariche e silos industriali, approdando finalmente nel North Ward, la sua frontiera.

Anche questo è un bel modo perché quello di James Gandolfini non sia un addio ma un arrivederci.

Umberto Cantone

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