Aci S. Antonio, bene confiscato diventa una casa protetta  «Non sarà solo un rifugio, ma luogo di rigenerazione»

Un alloggio in cui le donne potranno rifugiarsi e trovare la propria rigenerazione. Nasce con queste aspirazioni la casa protetta a indirizzo segreto per le donne vittime di violenza all’interno dell’iniziativa chiamata Maggiu sicilianu. Si troverà ad Aci Sant’Antonio in un villino confiscato alla mafia, che sarà capace di accogliere dieci ospiti che fuggono da situazioni familiari delicate. Lo scorso 8 marzo è stato consegnato il progetto: un grande immobile a due piani, con uno spazio esterno dedicato alle attività ludico-ricreative. Dopo la fase progettuale, a breve inizieranno i lavori. Nel 2018 è partito il bando per il piano esecutivo, promosso dal Comune con le direttive del Pon legalità e finanziato con i fondi europei. Ad aggiudicarsi le fasi progettuali è stata Chiara Trifilò, libera professionista che ha visto affermare il suo lavoro al primo posto nella graduatoria stilata dal ministero dell’Interno. 

«La nostra idea era quella di realizzare qualcosa che fosse incisiva per la lotta alla mafia, ma che allo stesso tempo avesse anche un’utilità sociale – spiega Trifilò – Dopo uno studio fatto sul territorio, abbiamo pensato di soddisfare un bisogno che mancava: una casa che, oltre a essere un ambiente protetto, doveva dare nuova linfa e vitalità a chiunque ospiti». L’immobile si sviluppa su due piani. Ogni stanza è pensata per soddisfare un’esigenza, secondo una linea dei bisogni. «Si alternano spazi dedicati all’intimità e alla socialità a locali pensati per la singola persona – prosegue l’ideatrice – Al piano di sopra, oltre alla stanza comune, dove tutti gli inquilini possono stare insieme, ci saranno le camere: ognuna con un letto da una piazza e mezzo, dove mamme e figli possono dormire insieme. Ogni stanza avrà un bagno con doccia emozionale e idromassaggio». Sempre al piano superiore sono comprese la lavanderia e una stanza con camino, mentre per il piano inferiore – che originariamente era un deposito – si realizzerà un’aula studio con biblioteca e un ambiente per i colloqui con un’equipe di supporto. Ampi spazi sono previsti anche all’esterno: potranno servire per attività legate alla cura degli orti, realizzare pranzi o cene e per la pratica di alcuni sport individuale o dello yoga. «Non sarà una comunità, ma una casa vera e proprio che le donne possano sentire propria, saranno loro a gestirla – sottolinea la progettista – Collaboriamo con gli assistenti, che non staranno lì ma aiuteranno le ospiti quando avranno bisogno».

Spetterà ai Comuni di residenza delle ospiti pagare le rette per la permanenza all’interno della casa protetta, che durerà sei mesi e, se necessario, potrà essere rinnovata. La casa accoglierà donne di tutta la Sicilia, eccetto quelle di Aci Sant’Antonio per evitare che possano essere intercettate dal proprio aggressore. Trifilò, le aziende e le associazioni partner si stanno occupando di intercettare bandi che possano essere di supporto alla casa etnea. «L’obiettivo è quello di non creare una cattedrale nel deserto – conclude l’esperta – Abbiamo coinvolto vari attori territoriali e fatto un piano di gestione con le possibili spese mensili per ogni utente». 

«Abbiamo auto la possibilità di compiere un atto concreto – commenta l’assessore ai Beni confiscati Quintino Rocca – Adesso aspettiamo la consegna dei lavori. Mi sento di ringraziare i Comuni che hanno lavorato con noi e la prefettura che in questi mesi ha organizzato diversi incontri». I beni confiscati da rendere fruibili ad Aci Sant’Antonio sono diversi. Per alcuni di questi si fa fatica a farli rifunzionalizzare. «Molti beni versano in condizioni di degrado e hanno bisogno di una totale riqualificazione – osserva Rocca – Dal canto nostro ci siamo fissati l’obiettivo di renderli tutti riutilizzabili entro quest’anno». Il patrimonio dei beni confiscati alla mafia nel territorio di Aci Sant’Antonio comprende un terreno in via Ercole Patti e degli immobili in via Ungaretti, via Collegio e via Cimitero Santa Lucia e una mansarda in via Stazzone.

Carmelo Lombardo

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