In merito all’articolo pubblicato su MeridioNews dal titolo Accoltellata a Ognina, condannato l’ex compagno. Sette anni di carcere, l’accusa chiedeva il doppio, a firma di Luisa Santangelo, pubblichiamo ai sensi di legge la richiesta di rettifica pervenuta a questa testata dall’avvocato Fabio Maugeri, difensore di fiducia dell’imputato:
«Laddove si cita “quel presunto tradimento rinnovato che lei aveva scoperto” e (infra) “una relazione extraconiugale di lunga data intavolata da lui” e ancora “la reiterazione di quel tradimento, già perdonato in passato, non sarebbe stata accettabile“, occorre smentire tale dato: non è assolutamente vero che l’imputato abbia tradito la compagna in costanza di rapporto, ma solo che abbia avuto una relazione nel periodo della separazione, relazione accettata dalla vittima senza problemi, ma che, al momento della sua temporanea riconciliazione, temeva (senza averne le prove) fosse ancora in piedi. È stata la stessa vittima a dichiarare al tribunale che se avesse scoperto che il compagno la tradiva l’avrebbe immediatamente lasciato: nessun perdono precedente, quindi, ma solo suggestioni per dipingere chi racconta più vittima di quanto non sia stata effettivamente.
Altresì il racconto sulla fedeltà coniugale si palesa incompleto, in quanto sono stati portati a conoscenza del Tribunale significativi indici di un possibile tradimento della donna, dalle gravidanze inattese, alle spese al di sopra dei redditi familiari, che costei non ha potuto né smentire né giustificare. Circa i reali motivi di una reazione violenta dell’imputato, si è invece omesso nel testo dell’articolo che un consulente psichiatrico del pubblico ministero ha affermato che lo stato di stress che ha generato la condotta in un uomo normalmente mite fu causato dallo “ennesimo “attacco” [da parte della donna, nda] all’insieme di convinzioni su di sé e sulla propria situazione esistenziale e di coppia, al senso di identità e di controllo su ciò che lo circonda (moglie, casa, figli, genitori), che ha sviluppato uno stato emotivo caratterizzato da ansia ed allarme che lo ha portato, di fronte ad un vissuto di “pericolo”, ad agire un reato d’impeto” (testuale).
Laddove, oltre, si cita la frase “si sarebbe imbattuta in messaggi e registrazioni audio (scambiati tramite l’applicazione Whatsapp) che avrebbero lasciato intendere una relazione extraconiugale ancora attiva” il dato va smentito. I messaggi in questione riguardavano la promessa dell’uomo alla donna con cui aveva avuto una breve relazione sentimentale (nel periodo della sua separazione dalla compagna, che ne era stata anche informata) che le avrebbe fatto un favore promesso in precedenza ed erano anche accompagnati dalle foto con cui l’uomo mostrava orgogliosamente alla sua interlocutrice una foto della sua famiglia: tutt’altro che compromettenti dunque.
Laddove ulteriormente si scrive “La risposta dell’uomo alle accuse sarebbe uno schiaffo in pieno viso“, il dato è falso ed incompleto. Ben due testimoni hanno narrato al tribunale di aver visto una semplice manata sulla spalla della donna, che aveva appena strappato di mano il cellulare al marito, ferendolo a sangue con le unghie, ed era poi scappata via sulla spiaggia. Laddove si scrive “Le condizioni della vittima sono state disperate per ore” si offre un dato clinicamente falso. Il consulente medico legale del pubblico ministero ha riferito al tribunale che in nessun momento questa abbia corso pericolo di vita, che è rimasto solo ipotetico, qualora non fossero giunti i soccorsi. Il processo vede l’imputato assistere da libero, in quanto scarcerato di ufficio proprio dal tribunale che oggi lo condanna, che motiva la sua liberazione non ritenendolo per nulla pericoloso. Nessuna sorpresa, pertanto, sul ridimensionamento della gravità vicenda.
Anche il racconto della dinamica dei fatti è viziato da parzialità, in quanto l’imputato non ricorda nulla di quel raptus di violenza e la vittima, saputolo, ha potuto dare dei fatti la versione a sé più favorevole. Altrettanto improvvido il messaggio finale del pezzo, nel quale, pur dichiarandosi programmaticamente di non cercare vendetta, sottilmente si suggerisce al pubblico ministero di valutare se proporre Appello. Se qualcuno è rimasto insoddisfatto di questa sentenza, dovrebbe dolersene nelle sedi istituzionali, anziché affidare a comunicati stampa infamanti le proprie personali opinioni. Stiamo valutando l’eventualità di agire contro la Vs. testata per il mancato controllo sulla veridicità delle affermazioni contenute nell’articolo in questione e diffidiamo chiunque dal pubblicare fatti non risultanti da atti ufficiali sulla vicenda».
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