La legge italiana sull’aborto compirà 39 anni ma nonostante ciò l’interruzione volontaria di gravidanza è ancora una sorta di percorso a ostacoli sia per le donne italiane ma soprattutto per quelle straniere, spesso impaurite, rifugiate o prive di permessi di soggiorno. Un tema che torna attuale anche alla luce dell’arresto del nigeriano 27enne compiuto oggi dalla squadra mobile. L’uomo è accusato di praticare aborti clandestini a pagamento soprattutto a ragazze extracomunitarie dalle quali veniva contattato da altre città.
Da un lato la legge 194/78 è chiara ma deve fare i conti con le difficoltà di chi non ha punto di riferimento in Italia e mette in mano la propria vita a soggetti privati che praticano interruzioni di gravidanza senza alcun titolo e soprattutto mettendo in pericolo la propria vita uscendone distrutta fisicamente e psicologicamente. «È questo il punto – racconta Gloria Cipolla, operatrice del Cooperazione Internazionale Sud Sud – chi arriva illegalmente nel territorio o chi già ci vive perché fa parte di una comunità, spesso si affida a soggetti che effettuano aborti a pagamento. Un fatto è certo, subentra sicuramente la paura ma anche le difficoltà linguistiche. Nel caso delle donne nigeriane spesso non capiscono l’italiano e ciò porta inevitabilmente a evitare contatti con chi è estraneo alla comunità».
La dottoressa Cipolla negli ultimi dieci anni, insieme al Ciss si è occupata di tematiche molte volte interconnesse tra di loro, quelle relative agli immigrati, ai rifugiati e di un fenomeno quale la tratta di essere umani e in questo caso le protagoniste sono anche donne in gravidanza. «Sono tematiche delicate quelle degli aborti clandestini – continua la dottoressa Cipolla – spesso celano dolori legati allo sfruttamento della prostituzione o comunque a atteggiamenti psicologici prevaricatori nei confronti della donna straniera. Al di la dell’etnia, le donne straniere vivono in un circuito chiuso difficilmente penetrabile. Non hanno nessuna voglia di uscire allo scoperto se non nei rari casi in cui si rivolgono a strutture assistenziali ma per lo più vengono sempre accompagnate da chi ha uno stretto controllo sulla loro vita».
Il Ciss ha tra le sue finalità anche quella formativa volta a sensibilizzare gli operatori chiamati a sradicare sentimenti quali la diffidenza e la paura. «Se da un lato le donne italiane, anche quelle con una preparazione culturale non eccellente, prendono coscienza di ciò che significa un aborto e si rivolgono a chi può sostenere un percorso psicologico, e soprattutto utilizzando i sistemi pubblici, la stessa risposta non si ottiene dalle donne straniere protagoniste di un mondo quello che noi definiamo sommerso. Probabilmente la disperazione gioca un ruolo determinante nel far compiere gesti estremi come sottoporsi a aborti clandestini effettuati con farmaci abortivi anche scaduti e con tecniche ben lontane dalla medicina».
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