A Palermo in mostra l’eterna sfida tra uomo e morte

«L’adesso è il fatto che io sono padrone, padrone del possibile, padrone di afferrare il possibile. Quando la morte è presente, io non sono più presente, non perché non sono nulla, ma perché non sono in grado di afferrare», è con questo lacerto tratto da Il tempo e l’altro di Emmanuel Levinas, che  Lóránd Hegyi, raffinato intellettuale ungherese, apre il suo saggio a commento della bella esposizione Essential Experiences, da lui curata a Palazzo Riso, Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia, con alcune opere a Palazzo Abatellis, in mostra fino al 28 febbraio.
 
Esperienze essenziali: morte, tempo, identità, sofferenza. Temi che sono sviscerati con estrema sottile poesia dai maggiori artisti del panorama contemporaneo, tra questi: Gilbert&George, Gloria Friedmann, William Kentridge, Anselm Kiefer, Michelangelo Pistoletto, Paolo Grassino, Danica Dakić, Kevin Francis Gray, Koji Tanada, Lee Ufan, Roman Opalka, Jan Fabre,Giuseppe Penone, Gunther Uecker, Kimsooja, Dennis Oppenheim (a cui Riso ha commissionato tre nuove produzioni), Pedro Cabrita Reis e Richard Nonas.
 
Crudele inesorabile la sorte umana, e al contempo giocosa, per Gloria Friedmann che propone nella Dolce Vita, una paradossale e ironica danza di scomposti scheletri viola, circondati da fiori variopinti. Beffa e monito, allegoria della morte, apotropaica evocazione delle vanità contemporanee. Sottile e crudele il messaggio affidato all’immensa teca di Anselm Kiefer, Selfportrait, groviglio ipnotico di rovi che si offrono quale sbiadito ricordo di una natura sciupata dal tempo. Sotto vetro custode di vana bellezza ormai perduta. Kimsooja rappresenta l’idea del passaggio, congiunzione del tempo e dello spazio. In Cities on the Move il colore seducente imprigiona un’attesa immobile. Colpisce tremenda la semplicità con cui una posa può evocare la complessità dell’abbandono, del non luogo.
Potentissima la galleria di ritratti di Orlan, in Self hybridation africaine Non Titree, uomini e donne, antropomorfi o bifronti, deformi, sono specchio del malessere dell’umanità che non si riconosce. Umanità senza identità. Su tutti un ghigno che ricorda quanto è amara l’incertezza. Candide le pose plastiche per le opere di Kevin Francis Gray, Ghost boy e Kids on tomb che nel medium puro  del marmo di Carrara impongono la riflessione sull’ atroce invisibilità contemporanea. Madre di Paolo Grassino annulla ogni riferimento noto, i contorni liquidi di un essere che non è umano, non è vegetale, immenso e spaventosamente seducente, confondono l’osservatore invadendone mente e corpo. Immobilizzandolo nello sguardo e nella ragione.
 
Costante il dialogo tra le opere contemporanee di Palazzo Riso ed il Trionfo della Morte, tesoro dell’Abatellis, sede espositiva appena riconsegnata alla città. Il filo rosso che il regista Hegyi ha orchestrato rende sospesa la riflessione, la amplifica nella contemplazione del magnifico dipinto del XV secolo, che mano di anonimo artista ha reso sintesi perfetta di ogni singola paura umana. Trionfo della natura sull’uomo, attonito smarrimento, artefatta ricostruzione simbolica del cosmo, in cui l’unico movimento è la solitaria beffarda cavalcata, che accentra lo sguardo. Metafora della fine che in ogni tempo e in ogni e luogo inaspettata lacera. Il dubbio è lo stesso, il terrore è immutato. La risposta è nulla. Ma Lóránd Hegyi commenta «c’è sempre prima della morte un’ultima possibilità, che l’eroe tenta di afferrare, e non la morte. L’eroe è colui che riesce a vedere sempre un’ultima possibilità, è l’uomo che si ostina a trovare delle possibilità».
 
Dunque Essential Experieces è un omaggio all’uomo, animale che nella sua fragile incompleta contorta bellezza vive grandi passaggi e veloci cambiamenti, insegue se stesso spesso senza mai trovarsi; vive quotidiane azioni con l’inconsapevolezza di essere, forse, un eroe comune.

*Gloria Friedmann, Dolce Vita. Foto di G. Maiorana

Agata Polizzi

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