25 aprile, la storia degli iarusi di via Dusmet Giovani omosessuali vittime del fascismo

«Abbiamo cercato di parlarci, di contattare coloro che, omosessuali, vissero l’esperienza del confino alla fine degli anni ’30. Ma non ci siamo riusciti». E’ un simbolo, di resistenza, di razzismo e di omofobia. E la mattina del 25 aprile, sotto al platano di via Dusmet che è stato per anni nel secolo scorso il punto d’incontro degli omosessuali in città, Arcigay Catania ricorderà le vittime di quelle violenze del regime fascista. A quell’epoca, a pochi passi dal mare, i giovani, semplici ragazzi del popolo, si ritrovavano in cerca di un’avventura con un amante maschio. Dal 1939 e fino alla fine della seconda guerra mondiale fuorono quarantacinque gli iarusi inviati al confino.

«Con i loro comportamenti venivano accusati di essere nemici della Patria, perché avrebbero indebolito la razza. Come gli oppositori politici, vennero spediti alle isole Tremiti. Dove il numero totale di colpevoli, per ogni reato, era di circa 300», racconta il vicepresidente di Arcigay Catania Alessandro Motta. Da anni la comunità Glbt catanese si reca nel luogo per ricordare queste vittime del regime fascista, «quando (su iniziativa di Open Mind Catania, ndr), abbiamo messo una targa in ricordo, dei militanti di estrema destra l’hanno fatta sparire» prosegue. L’anno, il 2006, è lo stesso nel quale Gianfranco Goretti presentò il suo libro, La Città e l’isola, che per primo ha raccontato le storie di queste giovani vittime, anonime per scelta ma oggi simbolo, come il platano, di resistenza. «Il mio studio si è basato sui documenti delle forze dell’ordine, sulle indagini e gli arresti che furono effettuati. Oltre ai quarantacinque inviati al confino, ci furono almeno altri sessanta arresti negli ultimi anni ’30» spiega Goretti. Che è il solo che sia riuscito a parlare con qualcuno di loro. «Ma l’esperienza del confino, degli arresti domiciliari dopo e della guerra li ha segnati. Molti di loro si sono sposati per tentare di recuperare il buon nome», racconta.

Catania, in quegli anni di leggi razziali, era governata dal prefetto Alfonso Molina, particolarmente solerte nell’attività di scovare chi si era macchiato del «vizio nefando» – definizione presente negli atti dell’epoca -. «I punti d’incontro, oltre alla via Dusmet dove si incontravano i più giovani, erano anche piazza Bellini e piazza Sant’Antonio, dove era presente una sala da ballo frequentata da soli uomini», continua Goretti.

«Anche se in quei luoghi non si andava solo per trovare un partner sessuale, quella dell’epoca non  era una vera comunità: non ne aveva le caratteristiche politiche, ma soprattutto non c’era la consapevolezza individuale – spiega ancora Alessandro Motta – Non si riusciva a superare la dicotomia maschio-femmina. E al momento dell’arresto esami medici distinguevano tra attivi e passivi, arrestando solo questi ultimi» conclude Motta. Ma i gruppi omosessuali non erano tutti uguali, perché «l’arresto arrivava solo per chi non era parte delle classi abbienti» continua Goretti. «Negli atti ci sono testimonianze di molti nobili omosessuali, che si incontravano in case private. Pur sapendo, a loro il regime non fece mai nulla» conclude lo studioso.

Leandro Perrotta

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