1986-1992, cos’è il Maxiprocesso a Cosa nostra Nascono il pool antimafia e il concorso esterno

Era il 10 febbraio del 1986 e il centro del mondo era a Palermo, nel cuore del quartiere Borgo Vecchio. Lì, in via Enrico Albanese, proprio all’interno del carcere Ucciardone era stata costruita in tempo record una grande struttura dalla forma ottagonale dotata di sistemi di sicurezza tali che nemmeno un attacco missilistico avrebbe potuto distruggerla. Il nome aula bunker le è stato dato in maniera quasi naturale. Avrebbe ospitato quello che sarà ricordato come il più grande processo penale al mondo: con 475 imputati, oltre 200 avvocati e un esercito di giornalisti da tutto il mondo. Il Maxiprocesso a Cosa nostra.

Era solo il primo grado di giudizio, ma quel procedimento ha segnato profondamente la storia. Palermo era appena stata stravolta dalla seconda guerra di mafia con cui i corleonesi si imposero col sangue sulla fazione guidata da Stefano Bontate, figlio del capo della cosca di Santa Maria di Gesù, e Gaetano Badalamenti, capo della cosca di Cinisi. Una guerra che nei primi anni ’80 aveva fatto centinaia di vittime, tra cui anche uomini delle istituzioni come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il commissario Boris Giuliano, il procuratore Gaetano Costa, il giudice Cesare Terranova, il giornalista Mario Francese e il presidente della Regione Piersanti Mattarella

E proprio la rivoluzione portata dai corleonesi sarebbe stata alla base del pentimento di Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi, affiliato alla famiglia di Porta Nuova e arrestato nell’83 in Brasile, dove si era rifugiato. Il suo ruolo nel Maxiprocesso è stato fondamentale. Con le sue dichiarazioni ha aiutato i giudici a decifrare la mafia. Per la prima volta sono venuti fuori il nome Cosa nostra, la mappa delle famiglie e dei mandamenti, fino ad arrivare alla Commissione e alle regole del fenomeno mafioso. 

La seconda guerra di mafia aveva portato anche un’altra novità. Per la prima volta c’era una squadra di giudici istruttori concentrati solo sul contrasto al fenomeno mafioso. Era il pool antimafia – embrione delle Direzioni distrettuali antimafia presenti oggi in tutte le procure – ideato dal consigliere istruttore Rocco Chinnici, che ne ha assunto la guida. Alla morte di Chinnici, ucciso dalla mafia nel 1983, è subentrato Antonino CaponnettoIn squadra anche Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. Per la prima volta, inoltre, nell’ordinanza di 8606 pagine, veniva teorizzato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per indagare la cosiddetta zona grigia collusa con la mafia, il «terzo livello», lo ha definito allora Buscetta. «Ma di cui non parlerò e non intendo parlare – rispondeva a Falcone, che lo interrogava – Altrimenti finiremmo entrambi in manicomio».

Dopo le difficoltà iniziali – solo quattro giudici popolari avevano accettato l’incarico – il processo era pronto a muovere i primi passi. A rappresentare l’accusa erano stati nominati due pubblici ministeri: Giuseppe Ayala e Domenico Signorino. Ad Alfonso Giordano era stato affidato il ruolo di presidente della Corte, mentre Pietro Grasso era il giudice a latere. Tutto il mondo guardava con attenzione a quanto succedeva a Palermo. I testimoni spesso facevano marcia indietro e si rifiutavano di parlare, rendendo ancora più importante il ruolo dei collaboratori di giustizia, 21 in totale. 

Un processo maratona, celebrato sei giorni su sette, per scongiurare lo scadere dei termini di custodia cautelare per molti imputati. Alla sbarra si alternavano capi mafia del calibro di Luciano Liggio, Michele Greco, Leoluca Bagarella, Salvatore MontaltoPippo Calò, capo della cosca di Porta Nuova, di cui si ricorda un confronto storico con Tommaso Buscetta. Alla fine, erano stati effettuati 1314 interrogatori ed erano intervenuti centinaia di avvocati, tra cui quelli delle numerose parti civili. Persino la camera di consiglio ha avuto una durata record, 35 giorni, e si è conclusa l’11 novembre del 1987.

Il 16 dicembre la sentenza: 314 gli imputati condannati, con 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione, mentre sono stati 114 gli assolti. Pene ridotte in alcuni casi in Appello, dove sono state pronunciate anche alcune assoluzioni, molte delle quali però annullate dalla Corte di cassazione, che il 30 gennaio 1992 ha confermato tutte le condanne emesse dal secondo grado di giudizio.

Gabriele Ruggieri

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