Nell’atrio della scuola, nel quartiere Zisa di Palermo, troviamo Giuseppe con il giubbotto di salvataggio, Maria con il capo coperto e il bambinello all’interno di un salvagente… . Tutti sopra ad un mare formato da bottiglie di plastica. Con orgoglio la dirigente scolastica all’Istituto Comprensivo Statale Colozza-Bonfiglio, Valeria Catalano, spiega le ragioni di questa rappresentazione, fortemente voluta dai suoi alunni e docenti. Un presepe che richiama alla «sacralità, all’accoglienza e, quindi, all’umanità».
A volte «dobbiamo perdere qualcosa di noi per far posto a qualcosa di nuovo, migliore, che ci dia una vita diversa, che ci accolga in una comunità» prosegue la dirigente che ricorda come l’anno scolastico sia stato da lei inaugurato con il progetto Un mare da amare. Un progetto di accoglienza con quel tema dedicato al mare che si ripeterà ancora con Panormus – la Scuola adotta la città e con la sesta edizione di EduCarnival. «Il mare rappresenta quella terra di mezzo che può essere un posto di passaggio ma anche un luogo che ci riporta tristemente a notizie di attualità – continua Valeria Catalano – per questo abbiamo pensato ad un Giuseppe che salva il figlio cercando di dargli un futuro migliore e, soprattutto, alla Maria come Madonna ma anche come donna non occidentale. Perché possiamo coprirci o vestirci in modo differente, ma dobbiamo restare tutti umani».
Sicuramente ben realizzato il presepe con uno sfondo pensato da una insegnante di lettere che ha voluto ricordare quella Porta Felice, antico ingresso dal mare per una città accogliente. «E non solo, quella porta rappresenta ciò che dobbiamo essere noi nei confronti degli altri, quello che deve essere la scuola soprattutto in questo quartiere difficile che abbraccia Zisa e Danisinni – afferma la dirigente – dobbiamo essere porta, porto ma anche piazza e, per tale ragione, realizzeremo presto un progetto che assegni ad ogni corridoio della scuola una parola-valore come solidarietà, amicizia, empatia, felicità, pietà. Parole per la grammatica astratte ma che, fuori da questi luoghi e nel nostro vissuto quotidiano, devono diventare atti concreti».
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