Voto di scambio, condannati Raffaele Lombardo e il figlio Indagine riguardava le Regionali 2012 e le politiche 2013

Condannati a un anno di reclusione, con pena sospesa. Finisce così il processo per voto di scambio semplice in cui era imputato l’ex presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo. Con lui, alla sbarra, pure il figlio Toti e altre tre persone: Ernesto Privitera, Angelo Marino e Giuseppe Giuffrida. Per tutti è stata stabilita la stessa pena. Per i due politici autonomisti la procura generale, rappresentata in aula dal sostituto procuratore generale Antonio Nicastro, aveva chiesto una condanna a un anno e due mesi, mentre per gli altri imputati otto mesi ciascuno. L’epilogo di oggi ribalta quanto avvenuto il 29 ottobre 2015. Giorno del compleanno dell’ex presidente in cui si era concluso il processo di primo grado. In quel caso per tutti gli imputati arrivò l’assoluzione nonostante le richieste di condanna dei magistrati Rocco Liguori e Lina Trovato. 

In un primo piano del palazzo di giustizia rovente per il grande caldo, Lombardo è arrivato con qualche minuto d’anticipo rispetto all’inizio dell’udienza, fissata per le 11.30. Poco dopo spunta anche il figlio Toti, deputato regionale dal 2012 al 2017, eletto con quasi diecimila voti sotto l’effige del Partito dei siciliani. Entrambi però hanno deciso di non rispondere all’appello, risultando così assenti. Quattro anni fa la scelta era stata identica e non è da escludere che dietro tutto questo ci sia stato un gesto di scaramanzia. Prima dell’inizio della camera di consiglio c’è spazio per le repliche degli avvocati difensori Mario Brancato e Salvo Pace. Concordi nel sottolineare alcune presunte incongruenze legate alle intercettazioni telefoniche finite agli atti. 

Il nodo sarebbe tutto legato alla genesi dell’inchiesta, nata ipotizzando il voto di scambio politico-mafioso. Cominciata nel 2012 quando a essere indagato, salvo poi essere archiviato, era l’attuale assessore del Comune di Catania Alessandro Porto. Tirato in ballo dalle dichiarazioni del pentito del clan Cappello Gaetano D’Aquino. A distanza di qualche mese, iniziano a essere iscritti nel registro degli indagati anche i protagonisti di questa vicenda, ma secondo i difensori sarebbe stato già chiaro che il reato contestato sarebbe stato il voto di scambio semplice: «I magistrati non potevano non averlo chiaro. Si è trattato di, consentitemi il termine, un trucchetto per consentire le intercettazioni. Tutto questo non è accettabile», chiosa l’avvocato Salvo Pace. Concludendo con la richiesta di inammissibilità del ricorso in secondo grado da parte della procura dopo l’assoluzione del 2015.

Secondo l’accusa, per le regionali 2012 e per le politiche 2013, i Lombardo avrebbero concesso posti di lavori nel settore della nettezza urbana in cambio di voti. Nella prima tornata elettorale era candidato Lombardo junior, mentre il padre qualche mese dopo provava la scalata al Senato. A beneficiarne sarebbero l’ex consigliere della prima municipalità in quota Movimento per le autonomie Ernesto Privitera – nel ruolo di intermediario – e due suoi parenti, il cugino Angelo Marino e il cognato Giuseppe Giuffrida

«Ricorrerò in Cassazione contro un vero e proprio misfatto», ha affermato l’ex governatore. «Una condanna – aggiunge – pronunciata perché colpevoli “al di là di ogni ragionevole dubbio”? Dopo una sentenza di primo grado ipermotivata di assoluzione “perché il fatto non sussiste”? Senza nessuna nuova prova a nostro carico? Voto di scambio nel 2012 con un mio da sempre e per sempre fedele elettore dal 1980? Consigliere di quartiere in carica del mio partito che col mio partito si sarebbe ricandidato nel 2013? Cui avevo chiesto di votare per altro candidato? Incredibile! Con in più – sottolinea l’ex governatore – l’eccezione, più che fondata, sollevata dalla difesa, della inutilizzabilità delle intercettazioni raccolte quando si sospettava, per altri indagati, l’aggravante di mafia? E poi usate contro di noi? Ho sempre fiducia nella giustizia – conclude Lombardo – devo capire se a Catania posso continuare a difendermi in un processo». 

Dario De Luca

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