Cos’è la street art è una buona e complessa domanda quanto cos’è l’arte. Bisognerebbe parlare prolissamente di arte contemporanea per poter meglio inquadrare la street art. In poche e semplici parole, possiamo dire che è “art” in luogo pubblico (street), intesa generalmente come arte deliberata, quindi non commissionata. Spesso trattasi di istallazioni site-specific, ma vi è pure la street art pittorica, che è molto spesso figurativa, con forti influenze derivanti dal fumetto, dal pop, dall’illustrazione, dal writing e dal low brow.
Se vogliamo rimanere attinenti all’origine del nostro dilemma, è street art ciò che principalmente si potrebbe definire arte. Molti dei parametri sono i medesimi. Street è intendibile sia come locazione che come stile-linguaggio. Poiché ci si trova a comunicare con un pubblico decisamente eterogeneo e in circostanze fortuite, si prediligono i concetti immediati e i linguaggi popolari. Wikipedia ci spiega bene (ancora meglio lo fa nella sua descrizione in inglese) cosa è la street art; lo street artist è colui che la pratica. Non basta di certo qualche disegno da principiante (a casa o in strada) per essere un artista, come non basta qualche epistola in versi per dirsi poeta. Sappiamo poi che non basta studiare filosofia per dirsi filosofo e così via. Quello che serve per me è la continuità, il percorso storico, il movente e la consapevolezza.
Così come non si può ridurre il writing ad una tag su di una saracinesca, non si può ridurre la street art ad ogni scritta o poster incollato in strada. Non possiamo sempre e costantemente parlare di street artist per ogni performance o bravata pubblica. Nella street art non è la singola azione a testimoniare l’arte, ma l’insieme di centinaia di pezzi, o lavori. E’ l’insieme che racconta, non la singola uscita pubblica. Chi produce da anni con costanza, con forti motivazioni, con linguaggi personali e identificabili, chi lo fa per l’arte e con metodo, curando i dettagli come se fosse un brand, ha buon diritto di sentirsi chiamato in causa.
Il rischio che si corre è delegittimare il genere: se tutto è street art, niente è street art. Ugualmente, se tutto è arte l’arte è niente. La fa mia nonna e tutti siamo artisti. A questo punto la mia lista della spesa diventa un testo valido come una poesia futurista. Ecco perché io dal 2012 parlo di morte della street art, dichiaro la sua fine; questa confusione intorno ai termini e i generi, quest’uso opportunistico del linguaggio e questa dilagante mitomania, contribuiscono alla sua morte. Ancora molti non hanno capito perché ne celebro la morte. Dato che può solo morire ciò che è anche nato, va precisato anche che la street art è una definizione voluta solo dai media, e per certi versi non è mai nata ne mai esistita. Arte pubblica o privata, indoor o outdoor; pur sempre arte è. Il termine street art è poco o per nulla identificativo, è ambiguo di suo e s’è sputtanato da subito; oggi un’infinità di giovanissimi stampa un poster e lo mette in strada, poi corre su facebook a farsi una fan page. L’illusione è quella di contare o d’essere notizia da subito, come se notizia fosse qualità.
Non sono pochi oggi gli artisti a declinare il titolo (troppo abusato) di street artist. Questo termine è come un scarpa o un giacca che va di moda e incomincia a starci stretta; è come quando la portano in troppi. La fine della street art potrebbe proprio avvenire a causa della sua popolarità. Come ogni fenomeno umano (o giovanile), potrebbe finire. Andrà avanti solo “art“, come prima e come sempre. Un giorno i treni dipinti saranno solo un ricordo? è possibile. Io oggi non vedo pittori dipingere paesaggi en plain air come nell’ottocento, segno quindi che i tempi cambiano. Il merito della street art potrebbe esser quello d’avere fortemente influenzato l’arte contemporanea e di aver prodotto un mix interessante di linguaggi neo pop-folk: le gallerie di mezzo mondo si sono svecchiate e interrogate sulla loro reale contemporaneità. Ma, una volta inglobata nell’arte senza street, l’arte andrà avanti.
Quanto alla distinzione tra arte e attivismo, tra performance d’arte e proteste sociali, cortei, flashmob… quanto alle differenze tra goliardia e arte… la differenza rimane ampia, logica, necessaria. Di base c’è la figura centrale dell’artista. Chi mise un vendesi all’elefante in piazza Duomo è un artista o un buontempone? Essendo stato un disoccupato in corteo, sappiamo, questo non può essere visto come gesto artistico. Ma chi è un artista? Ho già spiegato che serve consapevolezza, metodo, continuità e trascorso. Se un orinatoio è portato in una mostra da Duchamp sappiamo bene che sarà Arte. Idem una tela tagliata, 40 anni fa circa.
Uno striscione, una scritta o una manichino, se nel contesto di una protesta… è poco definibile come opera d’arte. Se non ci abituiamo all’idea che non basta un artefatto per fare arte e per farci fare l’artista, non ne usciamo più. Un cartello no tav, no ponte, no mafia o no war… sebbene immediato e comunicativo, non è esattamente quello che intendo io per street art, ma è solo un divieto su cose che intendiamo tutti per negative. La scrittura è comunicazione, ma questa non è sempre arte e il trovarsi all’aperto non la trasforma per magia in street art. Non basta un fantoccio impiccato a intendere una protesta per fare arte; semmai è un fantoccio senza senso nello spazio ad esprimere il vero concetto dell’arte urbana, come quelli di Mark Jenkins. Paradossalmente, è la serietà della protesta e l’assenza di ironia a rendere molte espressioni poco artistiche e solo figlie del dissenso. Ironia e arte poi, non è scrivere sede Juve sul cassonetto. Ma la street art migliore non è neppure lo sfoggio smisurato di tecnica in disegni foto-realistici che sembrano veri (come esclamano i bambini): oggi ci sono sorprendenti metodi fotografici (come quelli adoperati da JR, artista dalle grandi fotografie), e le illustrazioni semplici ed efficaci di Blu ci testimoniamo che comunque non serve la definizione pittorica per farci sognare, ma serve la testa.
Non misuriamo l’arte con i mi piace di Facebook. La precisazione è d’obbligo al giorno d’oggi. Non basta vivere in acqua per essere definiti pesci e quindi, la strada non è l’unica e la solo prova che quello che si ha di fronte sia street art. Si scriveva d’amore, di politica e di religione già nelle strade di Pompei. Si irride e si fa propaganda in strada praticamente da sempre. La pubblicità nasce così, con slogan e cartelli artigianali e i graffiti sono in realtà antichi come l’uomo. Ma non vi è mai stata prima d’ora la pretesa o la necessità di definire questa roba come arte. Oggi internet e i social network ci suggeriscono una visione un po’ distorta sulla grandezza del fenomeno e rischiamo di confondere l’apprezzamento popolare per qualità universale e inequivocabile. visto su internet sta divenendo il nuovo visto in TV, come per coltelli e aspirapolvere. L’arte oggi è veicolo di riscatto, quasi una moda per darsi un tono; si usa il tocco artistico per sollevare (o per lo meno tentare di sollevare) le sorti di un’aperitivo, di un festival o di un mercatino rionale. Arte per legittimarsi in società, per darsi una collocazione sociale di rispetto… come se ci campassimo, poi.
Essere artisti urbani era decisamente diverso quando la città ne era priva e non esistevano dozzine di fan page su Facebook a bombardarci gli occhi. Io posso ben dire di aver trovato la mia città all’anno zero; oltre al graffito il niente. Oggi ho più stima di chi, pur conoscendo il fenomeno e apprezzandolo, decide lucidamente di non iniziare. Anche io esorto a non iniziare, come se fosse tabacco. Un giorno venderò il mio stock di visibilità a qualche emergente bisognoso, in cambio di maccheroni. Paradossalmente, oggi essere anticonformisti può significare snobbare il fascino indiscusso della bomboletta. Se così fan tutti, perché farlo.
Vlady Art
[Foto di Tylicki]
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