«Cosa nostra non è ancora autonoma rispetto all’approvvigionamento degli stupefacenti». Una frase pronunciata dal comandante del nucleo operativo dei carabinieri in occasione della loro ultima operazione antidroga, la scorsa settimana, alla luce di quanto emerso dalle indagini che vedevano in quel caso i mandamenti di Porta Nuova, Brancaccio e Santa Maria di Gesù, tra i più potenti per storia criminale, costretti a inviare emissari a bordo di automobili per rischiosissime traversate alla volta della Campania. E dal Napoletano arrivava anche la droga per rifornire la piazza di spaccio della Zisa nell’operazione messa a segno pochi giorni fa dalla polizia. Polizia che a giugno aveva sferrato un forte colpo a un altro mandamento storico, quello di Brancaccio. Loro la cocaina pare la prendessero in Calabria, direttamente dalle mani della ‘ndrangheta.
Una costrizione all’import che all’interno della pur debole Cosa nostra ha generato nuove figure, nuovi uomini d’onore non più fedeli a una famiglia o a un mandamento, ma professionisti affidabili al soldo di chi ne ha bisogno. Tra le indagini che hanno portato all’operazione di polizia in corso dei mille a giugno e quella dei carabinieri della scorsa settimana, un cognome si ripeteva in maniera ricorsiva, quello dei tre fratelli Luisi. «Erano specializzati nel trasporto di droga, gestivano il traffico di stupefacenti nella zona tra Brancaccio e Bonagia» spiegano i carabinieri che durante il loro blitz hanno portato in manette Armando e Salvatore Luisi, ma non Pietro, il più giovane: 29 anni, sfuggito alla cattura già a giugno. «Io sono di Santa Maria di Gesù» dichiarava parlando con un esponente della ‘ndrina dei Barbaro di Platì, in calabria, dove si sarebbe presentato con le credenziali di uomo di fiducia di Fabio Scimò, ritenuto dagli investigatori ai vertici della famiglia di Corso dei Mille, nonché vecchissima conoscenza del traffico interregionale di stupefacenti. Una fiducia incondizionata che sarebbe andata oltre il mandamento, tanto da aprire a Luisi le porte della casa di Giuseppe Barbaro, il presunto trafficante che si vanta di avere sempre qualcuno nella propria abitazione per evitare intrusioni di uomini delle forze dell’ordine intenzionate a piazzare delle cimici.
Una vita certo non facile quella del trafficante intermandamento, ma questo Pietro lo sa bene. «Eh dice: “sono belli i soldi che trovi”, vedi che si butta il sangue» Diceva Pietro Luisi a Piero Di Marzo, genero di Fabio Scimò, durante una trafficata parlando di quanto fosse dura la vita del trafficante. «No a qualcuno gli sembra che è facile il lavoro del traffico. Piero, vedi che non è facile, ti giuro sopra mia madre». Guai a chiamarli o ritenerli facili guadagni: «Ti giuro a mia madre, ti perdi di casa, di rotta e tutto quello che hai guadagnato a perderli in un minuto non ci stai niente». E proprio per non perdere tutto in un minuto Luisi pare si inventasse una serie di stratagemmi per evitare i controlli. Se i fratelli, infatti, avevano a che fare con gente che per portare a termine la missione non avrebbe esitato a utilizzare automobili modificate, da par suo Pietro pare riuscisse a sorprendere con la semplicità, come quella volta – o quelle volte – che per non dare nell’occhio portò in macchina con sé delle donne. Due donne, in particolare, che avrebbero concesso la loro disponibilità: «Ne ho pure un’altra che è pure nubile e può mancare due giorni da dentro, due, tre giorni» diceva Luisi, specificando che una volta in Calabria avrebbe lasciato la figurante in albergo mentre lui era fuori a concludere affari.
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