Lungometraggio animato dell’immenso maestro dell’animazione francese Sylvain Chomet, 78 minuti di puro godimento per occhi e orecchie: disegni perfetti, si vede che l’Immenso proviene dai fumetti; musiche assolutamente giuste: esaltano le immagini, senza sovrastarle. Le musiche ricordano quelle di Il Kyrie eleison di Mozart, eseguite da Glenn Gould, fanno da colonna sonora al viaggio di madame Souza e Bruno verso l’oltreoceanica Belleville. Glenn che vediamo, come caricatura, nella tv di Champion, che rimane estasiato dalle sue dita e da come si muovono sul piano, senza però esserne trasportato per provare a imparare. Altro cameo caricaturale quello di Eddy Merckx nel vincitore del tour. Piccolo omaggio anche alla Disney, sia nei titoli di testa che nell’eplosione a fine inseguimento con sfondo la silouette di Belleville che ricorda vagamente il castello della casa di produzione di Burbank.
La storia è semplice: un bimbo abbandonato da mamma e papà ha solo una loro foto, dove sono ritratti vicino ad una bicicletta; niente e nessuno, nemmeno un sovrabbondante e pigro cane, riescono a distrarlo da quello che è la sua unica passione, nonché l’unico modo per avvicinarsi ai parenti scomparsi: pedalare. Questa passione/necessità lo porterà a partecipare al Tour de France, che però non si concluderà come è facile supporre.
I movimenti di macchina, le inquadrature, i tempi, i cambi di scena, i passaggi, tutto è semplicemente e fantasticamente perfetto (non a caso ci son voluti cinque anni per realizzarlo); niente è lasciato al caso, tutto ha un perché, uno scopo per il quale è stato messo lì, in quel preciso momento (il passaggio interno-esterno fatto dai popcorn-girini dentro la pentola alla luna piena è qualcosa di semplice e al contempo geniale, come violentemente spettacolare è quello degli anni che passano, con la casa che viene spostata da un fulmine per fare spazio alla ferrovia).
Tutto ciò che occupa la pellicola, dal punto di fuoco massimo della scena, al contorno, allo sfondo, ai dettagli (quasi) invisibili, è irreprensibilmente al posto giusto, nulla è lasciato al caso. Attraverso quei dettagli e quei particolari, spesso non-percettibili ad una prima visione, il regista/sceneggiatore/disegnatore fa una impetuosa, seppur impalpabile, critica alla società americana, o meglio a quella consumistica e utilitaristica. La critica avviene anche, proprio perché Chomet è sia sceneggiatore, che regista che disegnatore, attraverso i disegni: dei personaggi capiamo i tratti più rilevanti del carattere, ma anche del modo di comportarsi, da come sono disegnati, da come si muovono e da come “parlano”: una pantomima animata (esempi lampanti il cameriere e l’affittapedalò, soprattutto dopo i titoli di coda subito prima della citazione della relatività ristretta di Einstein).
Discorso a parte va fatto per Bruno, in realtà il vero protagonista, che coi suoi sogni in bianco e nero ci racconta molto più delle (poche) parole di tutti gli altri protagonisti.
La storia, seppur surreale, rimane dentro una logica, senza mai diventare banale, stupida o fantascientifica: la fisica è “solamente” portata agli estremi, senza mai però esagerare.
Anche qui i distributori italiani, in questo caso la Mikado, ha deciso di cambiare il titolo, passando da Les Triplettes de Belleville, ad Appuntamento a Belleville, che rimuove le tre simpaticissime Violette, Blanche e Rose (un velato richiamo dei colori della bandiera francese, e anche di quella americana?) dal centro della scena, seppur nello svolgersi degli eventi sanno come riprenderlo.
Un film d’autore; un gran film di un monumentale autore.
Pietro Sidoti
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