«Colpire un manifestante finito a terra è colpire se stessi e mostrarsi sotto una luce che offende tutta la funzione della polizia [ ] Se non arriviamo a una spiegazione molto chiara e molto franca su questo punto, vinceremo forse la battaglia della strada ma perderemo qualcosa di più prezioso: la vostra reputazione». Ieri mattina le parole di Maurice Grimaud, prefetto di Parigi nel 1968, sono risuonate in un’aula del tribunale di Catania. Qui, a tre anni dai fatti, si è celebrata una nuova udienza del caso Experia sulle presunte violenze delle forze dellordine denunciate da rappresentanti istituzionali e da un avvocato presenti durante lo sgombero, all’alba del 30 ottobre 2009. Quando una squadra composta da polizia, carabinieri e guardia di finanza ha posto fine a 17 anni di lavoro dei volontari del centro occupato in uno dei quartieri più difficili di Catania, lAntico corso. Ieri mattina, dopo la morte del giudice titolare del caso Alfredo Gari, si è ricominciato da capo. Per due volte su tre la procura etnea ha dato ragione ai denuncianti: quel giorno di tre anni fa i poliziotti non avevano nessuna ragione per ricorrere alla forza secondo il pubblico ministero Alessandra Tasciotti. Una vittoria ancora a metà per gli ex experini, che adesso dovranno attendere la decisione del giudice sulla possibilità che le indagini vengano riaperte.
A citare Grimaud è Goffredo D’Antona, avvocato dei denuncianti: Pierpaolo Montalto, avvocato e segretario provinciale etneo di Rifondazione Comunista, Valerio Marletta, allora consigliere provinciale di Rifondazione comunista e oggi sindaco di Palagonia, Luca Cangemi, segretario regionale di Rifondazione, già deputato nazionale, e l’avvocato Marco Rapisarda presente quel giorno proprio a garanzia di dialogo e moderazione tra occupanti e forze dell’ordine e il primo – secondo la denuncia – a ricevere un colpo di sfollagente in fronte e ripetuti calci. Il legale dei quattro, nella sua discussione prende in prestito anche le parole di Enrico Zucca, magistrato del processo per le violenze alla scuola Diaz durante il G8 di Genova. In quel caso, come in quello dell’Experia, un processo ai poliziotti si rivela difficile. Simile a quelli per violenza sessuale o nei confronti della mafia, secondo Zucca. Nel primo caso «per la facilità con cui si passa di fronte al discredito dell’accusa» e nel secondo «per il muro di omertà, la copertura e l’impenetrabilità dell’ambiente in cui opera l’accusato». Tutti elementi, secondo D’Antona, che ricorrono nel caso dello sgombero del cpo Experia. E che si aggiungono al vero problema dei denuncianti: l’identificazione dei poliziotti che, all’alba del 30 ottobre del 2009, avrebbero abusato della forza.
E’ d’accordo con D’Antona il pm Tasciotti che ha ribadito la linea scelta dal procuratore aggiunto Carmelo Zuccaro a maggio del 2011, prima che il procedimento venisse interrotto per la morte del giudice Gari: davanti al centro popolare occupato, l’uso legittimo della forza non sussisteva. Tasciotti chiede quindi la revoca dell’archiviazione avanzata in una prima fase delle indagini dal collega procuratore Enzo Serpotta e che gli atti vengano acquisiti in procura. «Per procedere all’identificazione dei poliziotti», spiega. Attraverso i video di quel giorno pubblicati dai media locali e che i denuncianti hanno sempre chiesto, senza successo, che venissero acquisiti. Sulla questione, adesso, si attende la decisione del giudice Alessandro Ricciardolo. Qualora decidesse di andare avanti, gli atti tornerebbero in procura e andrebbero affidati a un magistrato per ulteriori indagini. Ma a chi? Forse allo stesso Serpotta, primo incaricato del caso Experia e unico ad aver chiesto l’archiviazione per i poliziotti denunciati. Perché ignoti, spiegava il magistrato, e perché, in ogni caso, avrebbero fatto ricorso a un uso legittimo della forza a causa delle resistenze degli occupanti. Resistenze violente riferite dalle stesse forze dell’ordine ma mai provate.
[Foto di Giovanni Battaglia]
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