Violenza donne, chiamare per nome i rischi  «Ogni tre giorni una vittima uccisa dal partner»

«Sono Virginia e ho 25 anni. Li avrò per sempre, perché sono morta». Inizia così il contributo scritto da una studentessa del liceo classico Vittorio Emanuele II, che insieme a docenti e compagni di altre scuole ha preso parte all’incontro organizzato questa mattina a Villa Pajno, in via Libertà, per discutere di violenza sulle donne. «Non è certo una novità di oggi, anzi. Affonda le radici nell’antichità. Solo che oggi, a dispetto del passato, non può più trovare alcun alibi». Esordisce con queste parole la prefetta Antonella De Miro. È lei a fare gli onori di casa. «Un disvalore sociale», prosegue la prefetta, che parla alla platea di giovani seduti davanti a lei con trasporto ed emozione. Una giornata che ha voluto fortemente dedicare, lei in prima persona, a Nadia Murad, giovane ragazza yazida oggi ambasciatrice Onu che chiede giustizia per il massacro della propria popolazione. Uomini compresi.

«Questa è una società che oggi va pensata dalle donne per le donne. Ma non solo. Ci sono anche gli uomini – dice -, credo che debbano essere aiutati anche loro ad accettare il confronto dialettico con un altro pari a loro. Gli uomini in questo momento hanno perso una loro identità: avevano un’autorità riconosciuta quantomeno in famiglia proprio perché uomini; questo riconoscimento di un valore in quanto uomini è venuto meno. È un lutto che forse non hanno ancora elaborato del tutto». Un incipit, quella della prefetta, che conduce presto al cuore dell’incontro. A tenere le fila del dibattito sono i docenti dell’Università di Palermo.

A prendere la parola per prima è la professoressa Cinzia Novara che si districa con abilità fra dati, statistiche e percentuali, ma non solo. «Più dell’82 per cento dei delitti commessi in Italia contro una donna sono classificati come femminicidio, sono delitti perpetrati sulla donna in quanto donna – spiega infatti -. Negli ultimi cinque anni si registrano 774 casi di omicidio di donne, ogni tre giorni una donna viene uccisa dal proprio partner». Una dissertazione appassionante, la sua, in grado a un certo punto di andare ben oltre i numeri, che impressionano ma che spesso vengono dimenticati quasi subito, per tirare in ballo, tra i tanti argomenti, anche i cartoni animati, quelli più amati e noti a tutti.

Un excursus fra i classici Disney e gli immaginari comunicati epoca dopo epoca: dagli stereotipi incarnati dalla bella addormentata Aurora e Biancaneve, alle prime avvisaglie di ribellione con Ariel e Jasmine, in una prospettiva, però, che sa ancora di passività: la prima è pronta a snaturarsi per seguire il proprio amore, mentre la seconda non può nemmeno scegliersi il marito. Belle invece legge, è una donna intelligente e preferisce i libri a un balordo che le fa gli occhi dolci. Lei, però, cerca di trasformare la Bestia in un uomo buono: «È la sindrome della crocerossina, la stessa che ritroviamo in tutte le donne vittima di femminicidio – spiega la professoressa -. “Prima o poi lo cambierò” e nel frattempo si finisce uccise». Fino al più recente Frozen, dove il bacio col vero amore non è più col principe perfetto che risolve tutto, ma è quello fra sorelle.

Il tono si alza ancora di più con Alessandra Dino, professoressa di sociologia della devianza, che mette da parte statistiche ed esempi vicini all’immaginario giovanile. Sceglie, infatti, la durezza delle storie, passate e recenti, per arrivare ai ragazzi che la ascoltano e per fare in modo che imparino davvero a riconoscere e a dare un nome ai comportamenti violenti. «I femminicidi oggi non sono in aumento, ma questo non li rende meno gravi – spiega subito -. In Italia dal 2012 la violenza domestica rappresenta la prima causa di morte per le donne vittime di crimini». Crimini caratterizzati tutti da un accanimento brutale verso il corpo, sul quale si infierisce in maniera reiterata e utilizzando anche armi diverse, per tentare di annientare la figura femminile. «Siamo stati socializzati per lungo tempo alla disparità di ruoli e fino al 1981 la legge italiana trattava in maniera diversa i casi a seconda che riguardassero uomini o donne, di cosa ci stupiamo oggi? – continua la docente -. Le soluzioni sono nelle leggi, nelle politiche sociali, negli interventi economici e, ancora di più, nell’abbattimento di tutti quegli stereotipi che ruotano attorno al fenomeno stesso del femminicidio». Dalla cornice romantica che si tende ad attribuire a ogni storia alle giustificazioni dell’omicidio, spesso erroneamente descritto come un raptus dovuto alla troppa gelosia, al troppo amore.

«Il femminicidio è sempre l’atto finale di un iter di violenze reiterate, è sempre un processo sistemico con profonde radici storiche che si incarna in maniera diversa a seconda delle culture: schiavitù, mutilazioni genitali, stupri», conclude la docente. Anche se, malgrado il coinvolgimento dei più e la riuscita dell’incontro, non mancano le ragazzine concentrate più a scattarsi selfie da postare sui social che a comprendere la portata dei discorsi preparati per loro dai docenti di Unipa.

Silvia Buffa

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