«Pfizer? Ormai tutti conoscono il nome e riescono pure a pronunciarlo correttamente». Complice la produzione del vaccino contro il Covid-19 l’azienda farmaceutica statunitense da mesi è praticamente sulla bocca di tutti. Ma nonostante il vaccino dominante sul mercato, sviluppato insieme alla tedesca BioNtech, e utili e ricavi raddoppiati, all’orizzonte c’è la delicata vicenda del sito di produzione a Catania. Lo stabilimento, inaugurato negli anni 60′ e che conta poco meno di 700 dipendenti, è sotto la lente d’ingrandimento per il possibile esubero di 210 lavoratori. Di questi 130 fanno parte del cosiddetto personale diretto mentre gli altri svolgono le loro mansioni in somministrazione tramite l’intermediazione di un’agenzia. Il problema dei posti di lavoro, su cui la politica sta cercando di mettere il cappello con un lungo susseguirsi di comunicati, non nasce però oggi. Lo scenario attuale infatti era stato già ipotizzato dalle sigle sindacali nei mesi scorsi.
Il nodo della vicenda è tutto legato al crollo della produzione di alcuni prodotti «iniettabili sterili», in uno stabilimento in cui non è mai stato lavorato il vaccini contro il Covid-19. «La Cina, a cui il sito di Catania forniva il 50 per cento della sua produzione, si sta autogestendo attraverso un proprio impianto», spiega a MeridioNews il segretario della Femca Cisl Giuseppe Coco. Da qui la necessità di tagliare il personale. Nei giorni scorsi nelle chat Whatsapp dei dipendente è circolata una lista in cui compaiono i nomi dei 130 lavoratori in esubero. «Tra quelli in somministrazione, a 50 non verrà rinnovato il contratto mentre un’altra parte verrà ridotta dal 50 per cento quanto partirà la produzione attraverso un nuovo macchinario», continua Coco.
Il 3 febbraio scorso in una riunione a cui hanno partecipato le sigle sindacali attive sul territorio in ambito locale ma anche le federazioni nazionali e i rappresentanti sindacali unitari, Pfizer ha presentato il piano di riorganizzazione su Catania. L’obiettivo dell’azienda sarebbe quello di trovare un punto di equilibrio. Non solo attraverso i tagli ma anche tramite un investimento annunciato che ammonta a 26 milioni di euro. «Si tratta di poca roba – continua Coco – perché i soldi sono spalmati su tre anni e riguarderanno una manutenzione generica e l’aggiornamento di alcune procedure. Allo stabilimento, invece, servirebbe la produzione di un prodotto nuovo e innovativo, così da evitare i licenziamenti. Con quello annunciato, invece, non c’è nessuna prospettiva all’orizzonte». Scenario del tutto diverso rispetto ai siti di Latina e Ascoli. Quest’ultimo sarà l’unico in Italia che si occuperà del confezionamento del Paxlovid, il farmaco per la cura del Covid-19. Il piano nello stabilimento di Campolungo dovrebbe partire proprio a febbraio e prevede il confezionamento di 37 milioni di blister in 12 mesi. Tradotto circa 200 assunzioni, due nuove linee produttive e turni continuativi, domeniche comprese.
«Una parte di lavoratori – spiega il segretario della Femca Cisl – potrebbe trasferirsi nelle Marche su base volontaria da Catania». Il 15 febbraio, intanto, inizieranno i tavoli di trattativa per capire nel dettaglio come Pfizer intenderà gestire gli esuberi ai piedi dell’Etna. L’obiettivo, sul fronte siciliano, è quello di evitare un clamoroso déjà-vu rispetto a quanto successo con Myrmex, il centro di ricerca tossicologico – poi dismesso – che venne ceduto dall’azienda americana all’imprenditore Gian Luca Calvi, nipote del noto banchiere Roberto.
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