Viaggio nel tempo alla scoperta di un rifugio antiaereo  Nel cuore di Catania la cava di ghiara diventata bunker

Un altarino a cui rivolgersi quando l’allarme antiaereo segnava la fine della quiete e l’inizio della paura. Varcando l’ingresso del rifugio all’interno di un palazzo residenziale di via Daniele, a due passi da via Plebiscito, quella sensazione, scandita dall’incessante plic delle infiltrazioni d’acqua che goccia dopo goccia cade sul terreno, si prova ancora. Nel bunker antiaereo realizzato all’interno di una cava di sabbia rossa sotterranea che attraversa il cuore di Catania erano previste un’infermeria, due latrine e posti a sedere per circa mille persone. Il pensiero va subito al conflitto in Ucraina, dove i civili sono costretti a rifugiarsi nei bunker per sfuggire agli attacchi russi. «I protagonisti della storia possono rivendicare dei diritti…» e «Oggi non ci sono italiani di ponente…», alcune delle scritte impresse sui muri di contenimento del rifugio, che i segni del tempo hanno in parte reso illeggibili, richiamano un’altra epoca, quella di ottanta anni fa, quando imperversava la seconda guerra mondiale e l’Italia doveva correre ai ripari. In un angolo del rifugio realizzato sotto la colata lavica del 1669si nota una catasta, tra rifiuti e reperti, accumulatasi in anni di abbandono. 

Si scorgono cocci di suppellettili in ceramica, buste di plastica, alcuni vasi da notte – necessari nei casi in cui gli attacchi aerei costringessero a rimanere in trincea più tempo del previsto -, alcune bombole di gas, la ruota di una bicicletta e persino uno skateboard. Materiale quest’ultimo raccolto dagli attivisti di Officine culturali, l’associazione del quartiere Antico Corso a cui è stata affidata la gestione del rifugio antiaereo allo scopo di riqualificarlo e renderlo fruibile ai turisti. È l’obiettivo dell’associazione che dal 2019 ha provveduto a bonificare l’area da circa venti tonnellate di rifiuti che ostruivano l’ingresso, e che adesso tenta di barcamenarsi in modo autonomo e senza il sostegno delle istituzioni, per raggiungere il traguardo. Per quello che rimane comunque un bene demaniale. Tra chi teme che la guerra in Ucraina possa presto coinvolgere anche il nostro Paese – in particolare la Sicilia per il ruolo strategico assegnato alla base militare Nato di Sigonella – e chi invece teorizza che passerà molto tempo prima che la Russia riesca a stabilizzare l’Ucraina e creare le condizioni per sferrare un altro attacco, MeridioNews ha provato a fare il punto sui presidi da potere utilizzare in caso di un ipotetico coinvolgimento nel conflitto.

«Di rifugi complessivamente ne abbiamo individuati una sessantina – spiega a MeridioNews Franco Politano del Centro speleologico etneo -, nel 1939 le cave di ghiara, su suggerimento dell’ingegnere Orazio Condorelli sono state adattate a rifugi antiaerei». Provvedimenti intrapresi perché, all’entrata in guerra dell’Italia, non esistevano bunker pubblici. «Così le cave di Catania dalla caratteristica terra di colore rossastro divenuta celebre nel romanzo Rosso Malpelo di Giovanni Verga – prosegue Politano – sono state trasformate in bunker». Il rifugio di via Daniele, come detto, non è l’unico nascosto sotto la città. «Come questo ne conosciamo otto, ma ne abbiamo mappati cinque – spiega lo speleologo – ora sono totalmente abbandonati e alcuni sono divenuti fogne o semplici ripostigli dove accatastare ogni genere di rifiuto». Politano non nasconde le difficoltà riscontrate nell’individuazione e mappatura dei rifugi. «Purtroppo non è facile mapparli – continua Politano – per alcuni è stata una vera impresa». Il riferimento è alla montagna di terriccio, sabbia rossa e materiale che riempie le cave. «Anche i rifiuti raccontano parte della stratificazione storica – racconta Giovanni Sinatra di Officine Culturali -, creata in 70 anni di inutilizzo di questo spazio che avrebbe potuto portare alla sua scomparsa definitiva». Per questo, prosegue Sinatra, «con gli abitanti del quartiere, secchio dopo secchio, abbiamo raccolto queste tonnellate di rifiuti, ma ci è sembrato giusto conservare quanto più possibile». 

Il rifugio di via Daniele si estende oltre mille metri quadrati. «È molto ampio e la galleria principale è lunga cento metri ma ci sono altre gallerie parallele in corso di individuazione – spiega lo speleologo -, anche se con l’armistizio firmato a settembre del 1943 i lavori di scavo e ampliamento furono fermati e adesso risulta più complicato tracciarli». Per quanto scoperto fino a ora, «il rifugio può contenere anche un migliaio di persone stipate – spiega Politano – e la struttura è massiccia al punto da potere utilizzarsi anche oggi». Per rendere la cava accessibile e usufruibile al pubblico, all’epoca dell’adattamento, si sono rese necessarie alcune opere di consolidamento. «Una cavità antropica non è pronta ad accogliere un rifugio antiaereo – commenta Sinatra -, quindi si sono rese necessarie opere di consolidamento tra muri e colonne per sollevare un po’ il tetto lavico e permettere alle persone di stare qui in sicurezza». In quello che rappresenta uno dei rari casi in cui si può vedere la colata lavica dal basso, ci sono diversi ingressi e una delle gallerie del bunker attraversa parte di via Plebiscito. «Nel 2019 abbiamo aperto una campagna di crowdfunding e abbiamo fatto le prime rilevazioni con i georadar per individuare gli altri ingressi – racconta Sinatra -, ce ne sono almeno tre: oltre a via Daniele, un altro è nei pressi del liceo Spedalieri e un altro ancora è in via Plebiscito, anche se ancora non sappiamo esattamente dove sia collocato». L’interesse per i rifugi e la storia catanese ai tempi della seconda guerra mondiale continua a crescere. Recentemente, a riaccendere i riflettori sulla storia, è stato il consigliere della sesta municipalità Francesco Valenti che, dopo avere girato un documentario, ha proposto in consiglio la creazione di un percorso turistico per i bunker di Catania, tra i quali quelli di Monte Po e il rifugio allestito all’interno del liceo Boggio Lera.  

Gabriele Patti

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