Via Maqueda, la strada preferita dai dumanneri Tra gli slalom per evitarli e chi preferisce cedere

Dai Quattro Canti al Teatro Massimo ci sono 700 metri di distanza. Secondo Google Maps a piedi ci si impiegano nove minuti. Eppure quel tratto di via Maqueda pianeggiante diventa sempre più spesso uno slalom. Non è solo a causa della presenza dei turisti che affollano sempre più l’isola pedonale, o dei ciclisti che contendono loro la striscia di strada (sempre più sbiadita) teoricamente destinata alle due ruote (ma solo nelle tre ore al giorno in cui è consentito il passaggio delle auto). Chi percorre abitualmente la via centrale di Palermo sa che incorrerà certamente in qualcuno che gli chiederà soldi. E lo farà ogni giorno, non demordendo di fronte alla risposta negativa che si ripeterà sempre uguale – o con varianti, per i i più originali.

Un vero e proprio tour del bisogno, insomma, con alcune tappe irrinunciabili e altre che se ne aggiungono. Si comincia proprio dalla storica piazza ottagonale che collega via Maqueda al Cassaro: qui stazionano i vetturini che puntano rigorosamente i turisti per un giro a bordo delle carrozze o delle lape sgargianti, ma può capitare – se magari vestiti in modo leggero o con un cappello di paglia che sa tanto di forestiero – di essere scambiato per uno straniero. Per farsi riconoscere come indigeno bisogna dunque ricorrere a espressioni tipo semu ricchi e mancu u sapemu o ti rugnu quannu s’asciucanu ‘i balati ra Vucciria. E anche essere palermitani da più generazioni non basterà ad evitare le richieste degli artisti di strada, che non a caso si concentrano nel punto più affollato: c’è chi suona il flauto variando (poco, in verità) il repertorio; chi inscena un bambino che dentro il passeggino fa i versi (la prima volta sorridi, già alla seconda lo odi); chi attua le più spericolate acrobazie riuscendo a stupire l’avventore che purtroppo per lui rimane con la bocca aperta ma con le mani in tasca. 

Pochi metri e arrivano loro, i giovani volontari delle Organizzazioni Non Governative: si avvicinano sorridenti e tendendo una mano che non si può rifiutare, sarebbe troppo scortese. Loro lo sanno, d’altra parte è una tecnica comunicativa mutuata dalle aziende e che hanno imparato nei rapidi corsi di formazione a cui sono destinati prima di andare in strada per provare a raccogliere i fondi necessari per le attività umanitarie di ONG ultimamente sotto attacco da parte di certa opinione pubblica. Mauro ha 25 anni, da sei mesi il suo lavoro è definito «dialogatore»: deve convincere le persone a sottoscrivere una donazione mensile a UNHCR, «direttamente dal conto corrente, neanche te ne accorgi», mentre lui verrà pagato a provvigioni. Così come conoscono le tecniche per abbordare le persone, i dialogatori hanno stilato pure quelle per evitarli. «La più usata è andare di fretta – racconta Mauro – poi c’è chi finge di parlare al cell, chi mette le cuffie, chi guarda da un’altra parte, chi dice che è la moglie a non volere, chi passa dall’altra parte del marciapiede. Non sanno che per ciascuna scusa noi abbiamo inventato una risposta. Miriamo determinate persone, è chiaro». 

Tra queste ad esempio c’è Agnese, che lavora nel teatro. «Passo da questa strada ogni giorno, li vedo sempre. E io vado davvero sempre di fretta, quindi di solito li aggiro come fosse uno slalom. Però poi mi sento in colpa – racconta -. Una volta mi sono fermata, più per educazione e perchè capisco che per loro è un lavoro.Tra una chiacchiera e l’altra mi sono fatta convincere e ho fatto la donazione annuale. Però ora questi soldi in meno nel mio stipendio iperprecario mi pesano». 

Finita? A Palermo, dove la tradizione dei dumanneri è antica? Neanche per idea. Sempre in questo tratto di strada ci sono poi figure storiche, immortalate anche nei corti di Ciprì e Maresco per la Cinico Tv. E’ il caso del compianto Pietro Giordano, o dei due fratelli che girano con una manciata di penne (tecnica ampiamente ripresa anche da altri nelle vie limitrofe) chiedendo cospicue donazioni da 5 euro. Le nuove leve poi utilizzano altri espedienti. Alcuni raccontano di aver beccato sempre lo stesso ragazzino per tre giorni di fila e sempre allo stesso punto, all’incrocio tra via Maqueda e via Venezia, con una storiella sempre identica: «sono rimasto a piedi col motore, ero con la mia ragazza che lo sta tenendo su, mi manca qualche moneta per comprare la benzina e tornare a casa, puoi aiutarmi?». 

Pochi passi ancora e si incontra un altro genere, vale a dire chi punta su coloro che hanno a cuore gli animali. Se da qualche mese capita di incontrare cuccioli e cagnolini all’altezza delle bancarelle di via Bandiera, l’evergreen è sicuramente lui: Nino Spina, che da anni campeggia a piazza Verdi. Le centinaia di segnalazioni da parte degli animalisti e le altrettante denunce da parte delle forze dell’ordine non lo scoraggiano, e i cani che giocano tra di loro e coi passanti sullo sfondo del teatro Massimo sono una cartolina della città. Il suo motto aiutateci ad aiutarli è entrato nell’immaginario collettivo.

Andrea Turco

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