Migranti, ritorno a Castell’Umberto dopo la protesta Sfuma la paura tra partite, pranzi e lezioni bilingue

«Appena un’istituzione vira sul razzismo, la popolazione segue a ruota». È una delle lezioni che Dario Pruiti, avvocato e presidente di Arci Catania, ha imparato sulla propria pelle. Dario è originario di Castell’Umberto, paesino di tremila anime sui Nebrodi: proprio il luogo dal quale è partita la protesta, capitanata dal sindaco Vincenzo Lionetto Civa, che un mese e mezzo fa ha provato a impedire l’arrivo di 50 migranti. Una misura disposta dalla prefettura di Messina e osteggiata da decine di cittadini, che in realtà riguardava il vicino (e confinante) Comune di Sinagra. Di quei giorni tumultuosi – tra barricate, tensioni e attenzioni da parte dell’opinione pubblica nazionale – è rimasto poco. In un incontro del 20 luglio scorso i sindaci dell’area nebroidea hanno concordato «la necessità di attivare il sistema Sprar» e allo stesso tempo «un alleggerimento della struttura di Sinagra».

All’hotel Canguro, sede del Centro di accoglienza straordinaria al centro delle polemicheattualmente risiedono 25 migranti. «Altrettanti sono stati trasferiti a Messina – conferma Pruiti –  mentre la struttura ricettiva è affidata a tre cooperative fino al 31 dicembre. Dopo non si sa che fine faranno». Intanto chi è rimasto deve fare i conti con un’intolleranza verso lo straniero che in una comunità placida come quella dei Nebrodi ha sorpreso qualcuno. I rifugiati rimasti raramente sono usciti fuori dalla struttura, temendo rappresaglie. «Una sensazione orrenda quella di vivere in un posto all’improvviso razzista – conferma ancora il legale di Castell’Umberto -. Il sindaco ha dato la stura alle pulsioni più basse, di colpo la gente parlava di forni crematori e di stermini. In quel clima, l’idiota che prima si sarebbe vergognato a dire certe cose si è sentito legittimato. E vivere queste sensazioni in una piccola comunità è pesante».

Eppure proprio da un intervento di Dario Pruiti, durante un infuocato incontro dei sindaci del comprensorio e aperto alla popolazione, è partita l’idea di una risposta antirazzista allo stato di paura. Così, dopo un’assemblea cittadina molto partecipata, è nato il comitato Coordinamento senza frontiere che da subito ha promosso attività concrete rivolte all’accoglienza e allo scambio: lezioni di lingua (dove gli stessi abitanti dei Nebrodi imparano l’inglese dai ragazzi ospiti al Canguro), laboratori di pittura e corsi di programmazione informatica. Grande successo ha avuto poi l’iniziativa Aggiungi un posto a tavola, avviata il sei agosto e che si ripete ogni domenica, con la quale le famiglie nebroidee pranzano insieme ai rifugiati. Il quadro insomma è mutato in poco meno di un mese, anche se persistono reticenze e diffidenze. 

«Uscire e vedere alcuni dei ragazzi del Cas che giocano a calcio con i ragazzi di Castell’Umberto è bellissimo», racconta Santina Nibali, che fa parte del coordinamento. «Domenica io e alcuni miei amici abbiamo avuto il piacere di avere a pranzo tre dei ragazzi: nonostante le difficoltà della lingua ci siamo divertiti, abbiamo pranzato e scherzato, abbiamo passeggiato tutti insieme. Siamo andati al bar del centro e lì si sono aggiunte alcune signore: per loro è un po’ difficile rispetto a noi giovani accettarli, invece sono state curiose e molto accoglienti. Si respira un po’ di aria nuova, nonostante le difficoltà che ci sono. Speriamo di crescere sempre di più».  

E sensazioni simili arrivano direttamente da alcuni degli ospiti del Cas, diretto dalla psicologa Carmen Musca. «Rispetto all’inizio il comportamento degli abitanti nei nostri confronti è cambiato, in meglio – dice un giovane proveniente dal Senegal -. Ai volontari vogliamo bene, ci hanno anche accolto nelle loro case per il pranzo della domenica, un’iniziativa che abbiamo apprezzato molto perché ci ha aiutato a sentire meno la mancanza delle nostre famiglie». Nello scambio e nel superamento dei pregiudizi nascono rapporti. «Con alcuni abitanti ci salutiamo e si comportano bene con noi – dice un altro ragazzo, nato in Togo – ma alcuni sono ancora diffidenti nei nostri confronti. Con i volontari ci troviamo bene perché parliamo con loro e ci stanno aiutando ad imparare l’italiano con i corsi che stanno tenendo. Inoltre li vedo come amici con cui parlare di tutto e dai quali ricevere anche dei consigli». 

Mentre proseguono le attività, Pruiti traccia un primo bilancio dell’esperienza. «La nostra risposta è stata proporzionata alle forze in campo – commenta il legale – molti di noi sono tornati apposta sui territori. Io credo che di questi tempi gli antirazzisti, indipendentemente dalle differenze, devono fare fronte comune. Serve fare massa, serve incidere. Ora il clima è cambiato. Nel nostro comitato ci sono cattolici e comunisti, e poi associazioni e singoli di buona volontà. Continueremo su questa linea: certamente non per fare carità, ma per la promozione dei diritti di ognuno, da qualunque parte del mondo venga».

Paolo Colianni è un ex assessore regionale alle Politiche sociali e attuale presidente della cooperativa Ippocrate che, insieme alla coop palermitana Azione Sociale e a Terre, gestisce la struttura di accoglienza a Sinagra. Ha ancora freschi i ricordi di quei giorni difficili, quando gli operatori del Cas a suo dire vennero «sequestrati dentro». Ora guarda con favore alle iniziative del Coordinamento. «A luglio sembrava che fossimo diventati la città più razzista d’Italia e d’Europa – è il suo commento – tanto che era venuta pure la BBC a raccontarci. È chiaro che l’accoglienza va governata e capisco pure quelle che sono state le legittime preoccupazioni delle istituzioni, ma di certo non si possono accettare risposte dissennate. Oggi invece sono molto colpito dalla risposta di questi abitanti di Castell’Umberto, è anche la nostra volontà quella di far incontrare la città e gli autoctoni che qui sono nati con i ragazzi stranieri che sono arrivati».

Andrea Turco

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