«Sono stati 25 anni di processi buttati al vento, con pentiti costruiti a tavolino tra lusinghe e torture, condannati all’ergastolo ingiustamente le cui pene sono state annullate con il processo recente di revisione. Ai quali, visto che non l’ha fatto chi lo doveva fare, chiedo pubblicamente scusa per quello che si può definire uno dei più colossali errori giudiziari». Sintetizza così, in poche ma durissime battute, 25 anni di «processi fallimentari» che non sono mai riusciti a far luce sulla strage di Via D’Amelio Fiammetta Borsellino, la figlia minore del giudice Paolo, ascoltata oggi dalla Commissione parlamentare Antimafia in Prefettura, a Palermo, assieme a Antonino Vullo, l’unico sopravvissuto all’eccidio.
Nel corso delle oltre due ore di audizioni davanti alla delegazione parlamentare, presieduta da Rosy Bindi, Fiammetta ha ripercorso oltre vent’anni di «ingiustizie processuali» e, per l’occasione, ha presentato anche un corposo dossier scritto di suo pugno, con alcuni documenti. Una cinquantina di pagine dove sono tre gli elementi principali: la requisitoria del processo di Caltanissetta, la lettera inviata da Ilda Boccassini alla Procura di Caltanissetta, e la vicenda del collaboratore Vincenzo Scarantino. Proprio quest’ultimo punto, per la figlia di Borsellino è da considerarsi come il tassello fondamentale dell’opera di depistaggio portata avanti nei numerosi processi sulla strage di Via D’Amelio e sui cui la magistratura dovrebbe ora indagare individuare eventuali responsabilità.
«Che servano ulteriori indagini mi sembra una valutazione scontata – ha detto – dopo che la sentenza stessa del Borsellino quater parla di induzione». Fiammetta, che preferisce non riferirsi a nessun pm in particolare, ritiene doveroso ricordare di chi si è occupato delle indagini e dei processi in quegli anni cruciali che «afferiscono proprio la conduzione del Borsellino uno e di quello bis. Sicuramente ci sono state gravissime omissioni, errori, anomalie che non sta a me stabilire se sono frutto di colpa, di dolo o inesperienza. L’unica cosa che posso rilevare è che sicuramente un eccidio come quello di via D’Amelio non si meritava magistrati alle prime armi. Con magistrati che, essi stessi, hanno dichiarato di non essersi mai occupati prima di allora di mafia».
Bindi, nelle cui mani Fiammetta ha consegnato il dossier, ha confermato di voler scavare a fondo: «Intanto aspettiamo la sentenza di Caltanissetta su questo punto, Borsellino quater e dopo, se troveremo delle risposte soddisfacenti, faremo degli approfondimenti, con lo stile e le caratteristiche della nostra Commissione. Se dovessimo trovare una risposta che non ci soddisfa, forse potremo aprire un’inchiesta più penetrante». La presidente della Commissione, tuttavia, non ha negato l’esistenza del depistaggio e sulle specifiche accuse della figlia di Borsellino ha aggiunto: «Quando abbiamo ascoltato la Procura di Caltanissetta, abbiamo anche chiesto perché è stata ignorata la lettera della Boccassini. D’altra parte va anche detto che il depistaggio è stato comunque scoperto, smascherato e raggirato».
Dopo tanti anni, rimane comunque il dolore di tutta la famiglia Borsellino per una verità tanto cercata quanto irraggiungibile, che spesso si è sentita sola: «Dopo le strage, la mia famiglia ha vissuto una solitudine che è stata confermata dal fatto che la maggior di quelle persone, amici, colleghi, che per anni anni hanno frequentato la nostra famiglia, ora si sono dileguate. Le persone veramente vicine le abbiamo incontrate nel corso di questo cammino. Ora mi aspetto che ognuno faccia la propria parte, tutte quelle azioni che ciascun organo competente può mettere in campo, ognuno per la propria parte e secondo le proprie competenze».
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