«Verità ferma da 40 anni nei cassetti della Procura» Graviano e il botta e risposta al veleno con Ingroia

«Io voglio rispondere perché ho la coscienza pulita». Giuseppe Graviano, imputato nel processo reggino ‘Ndrangheta stragista, conferma ancora una volta di voler ascoltare tutte le domande che gli verranno rivolte. Quelle del suo legale però, l’avvocato Giuseppe Aloisio, devono per forza essere rinviate, in parte, alle prossime udienze. Perché il boss di Brancaccio, detenuto a Terni, non ha ancora avuto la possibilità di leggere le trascrizioni di alcune sue intercettazioni. Non si capisce come sia stato più facile in regime di 41bis fare entrare, all’epoca, la moglie nella sua cella e farla rimanere con lui il tempo necessario per concepire un figlio, mentre non si riesce, da settimane, a fargli arrivare trascrizioni e dischetti delle sue conversazioni con un altro detenuto, Umberto Adinolfi, intercettate in carcere. Dialoghi su cui vertono moltissime domande del processo.

A sottoporgliene molte questa mattina è stato l’avvocato di parte civile Antonio Ingroia, ex pm della Procura di Palermo. Malgrado, però, la dichiarata volontà da parte di Graviano di non sottrarsi alle domande, persino chiedergli conto e ragione della sua appartenenza a Cosa nostra diventa oggi una cosa complicatissima. «Ho già risposto al pubblico ministero su questo punto – sbotta subito lui -, quindi non mi ripeta le stesse domande perché io mi stanco, mi si abbassano gli zuccheri e non riesco a seguire il processo». Nessuno, in quell’aula, sembra volere arrivare a questo. Perciò si tenta, dove possibile, di assecondare quelli che sembrano più dei capricci che delle obiezioni ragionevoli. Ma il boss adesso sembra non voler più aggiungere altro né ripetere quanto detto neppure su argomenti già affrontati. E quando non evita direttamente le domande dell’avvocato, le sue risposte appaiono elusive e quasi scocciate. «Non ho mai conosciuto Marcello Dell’Utri», dice seccamente, all’ennesima domanda di Ingroia. Dichiarando di non voler chiarire, almeno oggi, alcune frasi intercettate nel 2016 proprio sull’ex senatore. 

Ma anche sul capitolo Silvio Berlusconi, sul quale nelle precedenti udienze sembrava intenzionato a sbottonarsi almeno un po’, adesso sembra fare marcia indietro. Ripete cose già raccontate settimane fa: i tre incontri a Milano che ci sarebbero stati con l’ex premier, quando Graviano era latitante; il presunto patto col nonno materno; il ruolo del cugino Salvo Graviano; il presunto tradimento di Berlusconi. Ogni tentativo dell’avvocato Ingroia di scavare più a fondo viene puntualmente bloccato da un Graviano sempre più nervoso e indispettito. «C’è il processo sull’omicidio di mio papà che per 37 anni è stato nel cassetto della procura – dice a un certo punto, alzando i toni -, è sufficiente andare ad aprire quel cassetto, e il pm Lombardo ha detto che farà gli accertamenti. Basta prendere quel processo e scrivere come sono andati i fatti, perché la sentenza del 2019 si ferma solo a Grado. Anche quello che avete nella procura, c’è qualche responsabile di procuratore…».

«In questi ben 37 anni, quasi 38, c’è qualcuno che non ha esercitato la professione con tutti i crismi, prima rivedete queste cose – insiste -, se c’è qualcuno che è stato fatto eroe, qualche vostro collega, la storia insegna che le medaglie qualche volta vanno tolte. Troverete muri di gomma… 40 anni di bugie che ci raccontate, basta sono stanco, ancora fate domande a me, è una vergogna, aprite i cassetti e vedete che c’è». Sarebbero tante, secondo lui, le verità a portata di mano, insomma. Comprese quelle sulle stragi del ’92 o sul delitto Agostino, vicende sulle quali Graviano lascia intendere di avere molto da dire, ma lo farà solo al momento giusto, quando deciderà lui. L’esame procede sul filo della provocazione, in un botta e risposta continuo tra Graviano e Ingroia che a tratti si infiamma. Fino a che il boss si chiude a riccio e a ogni domanda replica con un laconico «non posso rispondere». 

Silvia Buffa

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