Lo definiscono «teatro civile»: dal 20 al 24 maggio sei detenuti del carcere di Giarre andranno in scena al Teatro Musco di Catania. Reciteranno in Vento Di Tramontana, adattamento di Gaetano Savatteri del romanzo di Carmelo Sardo, che parla del servizio militare di un ventenne come guardia carceraria. L’azione si svolge nell’immaginaria isola di Favonio, Favignana nella realtà, e a rappresentare gli incontri con i carcerati, che segneranno il percorso di formazione del ragazzo, ci saranno anche Gianluca Belfiore, Erminio Caruso, Davide Intravaia, Giuseppe Manuli, Guglielmo Quattrocchi, Salvatore Rapisarda, attualmente detenuti nell’istituto penitenziario della cittadina ionica.
Saranno i veri protagonisti di una rappresentazione fortemente voluta dal direttore del Teatro Stabile di Catania, Giuseppe Dipasquale. «In accordo con Carmelo Sardo, abbiamo posto al regista l’idea di rappresentare il romanzo, e l’ha accolta immediatamente. Anche perché – spiega Dipasquale – ha un’alta valenza sociale: i ragazzi portano in scena qualcosa che appartiene loro più di quanto appartenga agli attori». E proprio il regista, Federico Magnano Di San Lio, ha cercato di «creare non un laboratorio, ma uno spettacolo professionale, da portare nei teatri. Loro, per me, sono stati una compagnia reale, nonostante le difficoltà iniziali legate all’inesperienza, e a quelle logistiche per organizzare le prove in carcere», ha affermato il regista nella conferenza stampa di presentazione, questa mattina. Su tutto spicca l’ovvia sovrapposizione tra «reale e immaginario», ben presente non solo nel racconto della vita da reclusi, ma in questo caso anche in un avvenimento: la morte in carcere, narrata nella finzione e che ha colpito lo scorso 28 aprile anche un coetaneo dei protagonisti, il 32enne Nicola Sparti, morto proprio in prigione a Giarre a causa delle cattive condizioni di salute.
«C’è una scena, dove un detenuto muore all’interno dell’istituto penitenziario, in cui i ragazzi si sono immedesimati molto. Hanno detto: “Abbiamo una ferita ancora aperta, ci ricorda Nicola”. Ora vorrebbero dedicargli la prima dello spettacolo», racconta Mario Incudine, uno degli attori in scena e autore delle musiche. Che porterà, cantandole anche dal vivo, sul palco. Il regista Magnano di San Lio, ha inoltre affiancato ai ragazzi della casa circondariale di Giarre agli affermati attori Mimmo Mignemi e David Coco, oltre ai giovani Luca Iacono e Marina La Placa. E proprio Mignemi racconta con toni entusiastici dell’esperienza: «Stare con i ragazzi di un carcere lo auguro a tutti, non serve solo per farci dire bravi sui giornali. Ma perché dentro siamo tutti gli stessi. Che differenza c’è – prosegue Mignemi – tra un maresciallo, un detenuto, uno psicologo, un attore. Fuori dal carcere hai il problema di essere ipocrita, con quello che ti circonda. Là non puoi essere ipocrita, perché sei là. E’ un mondo che ti apre alla vita vera», spiega l’esperto attore etneo.
«La morte di Nicola ha rappresentato uno shock per tutta la casa circondariale, che è molto avanti rispetto ad altre in Sicilia nell’uso del tempo in carcere in maniera produttiva – racconta Salvo Coco, psicologo dell’istituto penitenziario – Ricordo ancora la telefonata, in lacrime, di una guardia penitenziaria che mi annunciava l’accaduto, ma anche i momenti di confronto con i ragazzi sul tema, colpiti dalla bara che entrava tra le mura. La morte in carcere può essere devastante per sempre, ma la vita va avanti. E il teatro mette in campo quote di emozioni, empatia per capire le conseguenze delle proprie azioni. Fondamentali per il rapporto con il mondo esterno, che cerchiamo di intensificare con varie attività». Le scene e i costumi, sono di Angela Gallaro, mentre il regista Magnano di San Lio sottolinea «l’aiuto offerto da Maria Rita Leotta come assistente alla regia, nel rapportarsi con questi ragazzi nei vari spostamenti a Giarre».
Sullo sfondo della sperimentazione restano, però, le difficoltà economiche del teatro etneo: l’ultima manovra finanziaria alla Regione, che avrebbe consentito di tirare un po’ il fiato, consentendo di pagare gli stipendi arretrati, non è andata a buon fine. «Noi, come tutti, siamo allarmati dalla situazione, perché un teatro non può sopravvivere solo con lo sbigliettamento. Non solo lo Stabile o il Bellini, ma anche quelli privati», sottolinea Dipasquale. Il direttore del teatro cittadino, in queste ore, è stato duramente attaccato dallo scrittore Ottavio Cappellani, che lo ha definito «uno che non ha idea di cosa sia uno sbigliettamento», per sottolineare la dipendenza dai contributi pubblici. A una specifica domanda sull’episodio, Dipasquale si limita a commentare: «Il rilancio del teatro avviene ogni giorno. E per quanto riguarda il signor Cappellani, ho già provveduto a querelarlo».
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