«Non un semplice ricordo, ma un memoriale: un ricordo che ti stimola ogni giorno». Così Salvatore Resca, fondatore dell’associazione catanese CittàInsieme e vice parroco della chiesa Santi Pietro e Paolo, definisce l’annuale incontro per ricordare i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e, con loro, tutte le vittime per mano della criminalità organizzata. Un memoriale che, nel ventennale delle stragi mafiose del 1992, ha subito alcune modifiche all’ormai classico schema annuale: il giorno – il 27 maggio anziché il 23 – e il luogo. Non più le scale del palazzo di giustizia etneo, quest’anno scelto tra le polemiche dalla sezione provinciale dell’Associazione nazionale magistrati. Letture, interventi e musica contro le mafie si sono spostati nello spiazzo davanti alla chiesa coordinata da padre Resca, dove CittàInsieme – organizzatrice dell’evento insieme ad altre realtà cittadine – si riunisce.
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Quando Resca prende la parola, parla da cittadino. Ma non può fare a meno di riferirsi alla realtà che ogni giorno vive, quella ecclesiastica, per spiegare stereotipi, contraddizioni e pericoli delle infiltrazioni mafiose nella società. «E siccome adesso sono fuori dalla chiesa, posso anche arrabbiarmi», precisa. «Anche i mafiosi hanno un dio. L’iconografia criminale vuole che il killer si faccia sempre il segno della croce prima di premere il grilletto», sorride amaro. Con buona pace di Ernesto Ruffini, ex arcivescovo di Palermo, «secondo cui i rapporti tra mafia e Chiesa erano solo una calunnia comunista». Ma «il Vaticano non è la Chiesa», come lo Stato troppo spesso non sono né i magistrati né i poliziotti. Istituzioni lontane da chi cerca di fare ogni giorno il proprio dovere, con fatica. Come Falcone, Borsellino e gli agenti di scorta morti insieme a loro. Una lontananza che, nelle parole di Resca, non deve sfiduciare: ma fare arrabbiare. E, soprattutto, spingere a reagire. «Silvio Berlusconi si propone a presidente della Repubblica e vuautri siti femmi? – si rivolge ai presenti – Dovremmo urlare come i pazzi». Il riferimento è alla recente sortita dell’ex premier con Angelino Alfano, segretario del Pdl, che in conferenza stampa hanno proposto l’elezione diretta del capo dello Stato, con tanto di gaffe del delfino che ha così appellato il suo leader.
E a Catania, ieri, non si stava fermi. Più di venti associazioni e testate etnee si sono riunite insieme ai cittadini tra spezzoni di telegiornali dei giorni delle stragi, letture di pensieri e racconti dei testimoni, un «minchia, signor tenente» ripetuto da molti a labbra appena schiuse. Per continuare a ricordare ma, conclude Resca, «di quel ricordo che ti prende a calci nel sedere se ti distrai». Nel finale, dopo il consueto susseguirsi di canti – eseguiti sul palco da giovani della parrocchia Santi Pietro e Paolo – e letture in ricordo di Falcone e Borsellino, spazio a due brevi interventi.
Il primo è di un membro dell’associazione Rita Atria, che ricorda la giovanissima ragazza, testimone di giustizia contro la mafia e i familiari a Partanna, che morì suicida dopo la strage di via D’Amelio. Un appello, per vedere la mafia anche dal punto di vista di chi, da semplice cittadino, la combatte ogni giorno, anche esponendosi in prima persona da testimone. Parole a cui fanno seguito quelle di Giovanni Caruso, fondatore del Gapa di San Cristoforo: «Oggi vogliamo la verità, sulle stragi del ’92, sul ruolo dello Stato, sulla bomba di Brindisi e persino sulla morte del piccolo Peppe Cunsolo, trovato in strada a Librino».
La serata si conclude con il classico brano la Libertà, di Giorgio Gaber. Ma prima padre Resca rivolge un invito a reagire: «Come diceva uno dei brani che abbiamo sentito, non lamentatevi ma “piglia lu vastuni e tira fora li renti“». E tutti in piedi a cantare «libertà è partecipazione».
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