«Io non amo la Sicilia che non si difende, che rovina le sue coste, la sua intelligenza, la sua cultura. Non posso amare una terra che si butta via, mi dà un fastidio immenso che la Sicilia non sia all’altezza di se stessa». E Palermo, a quanto pare, non si salva: «Per arrivare qui ho visto 400 persone su 200 senza casco, in tutti i posti ci sono non due, ma tre file di macchine, per cui si deve passare con una fatica tremenda. Davvero vi aspettavate dicessi quanto sono belle Palermo e la Sicilia? Vi aspettavate il protagonista e invece faccio l’antagonista». Roberto Vecchioni non le manda certo a dire e alla platea che ha riempito l’aula magna di Ingegneria all’università di Palermo arriva subito uno scossone.
«È inutile mascherarsi dietro il fatto di avere il mare più bello del mondo – continua -. Ma davvero pensavate che venissi qui a fare una sviolinata e a prendermi i vostri complimenti? L’unica cosa che ho pensato venendo è: “Ma come si può rimediare a una situazione come quella della Sicilia?” È un’isola di merda». Un’analisi dura e senza fronzoli quella di Vecchioni. L’occasione è data dall’incontro Mercanti di luce: narrare la bellezza tra padri e figli, dal titolo dell’ultimo romanzo del cantautore, pubblicato da Einaudi («Secondo gli editori doveva vendere 1000 copie, ne ha vendute 100mila, segno che questo amore qualcuno lo ha capito», dice il prof-cantautore a una platea sempre più infastidita e rumorosa per le sue critiche).
L’iniziativa rientra nel percorso formativo Educare oggi, ideato dall’associazione Genitori e figli: istruzioni per l’uso, in collaborazione con il Centro di iniziativa democratica degli insegnanti di Palermo e con il patrocinio gratuito del Comune. In sala almeno una persona su due stringe una copia del libro, di cui si parla appena. Perché il romanzo, una sorta di testamento morale da padre a figlio, diventa subito un pretesto per parlare di Sicilia, e di lezioni – mancate – ai figli.
«Non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro», dice Vecchioni citando un passo del libro. Nella storia un professore di letteratura greca, Stefano Quondam, cerca di nutrire il figlio, Marco, affetto da progeria (rara sindrome che causa invecchiamento precoce) utilizzando i versi dei lirici e tragici greci, «perché tutti hanno imparato dall’antichità il senso della vita». «Avete inventato la Magna Grecia – dice Vecchioni rivolgendosi alla platea – volevate vi dicessi quanto siete bravi, colti, fighi? Ma quando vado a vedere Selinunte o Segesta non c’è nessuno. Avete magnifici templi e teatri che nessuno caga perché sono abbandonati, e non ditemi che è perché non vi aiutano da Roma, avete un patrimonio meraviglioso che neanche conoscete. È colpa vostra, dovete smetterla. Dovete battervi. Dovete crederci». Ai giornalisti, prima dell’incontro, l’autore di Samarcanda e Luci a San Siro aveva detto: «Ci sono regioni rovinate dalla mafia e dal malaffare, e la Sicilia non si è ribellata a questo».
«La filosofia e la poesia antiche hanno insegnato cos’è la bellezza e la verità, la non paura degli altri. In Sicilia – ha aggiunto una volta in sala – questo non c’è, c’è tutto il contrario. E mi sono chiesto prima di arrivare qui se dovevo dirle queste cose ai ragazzi: “Perché invece non invento una sviolinata?” Invece dobbiamo fare capire ai nostri figli che l’attrazione per la bellezza ci può salvare».
E per estrinsecare il concetto, Vecchioni fa anche il gesto dell’ombrello. Qualcuno si alza e lascia la sala, dalla platea partono le prime contestazioni. C’è chi lo accusa di essere fuori tema o di fare qualunquismo e chi gli grida: «Ha idea di quanto eroismo ci vuole ad alzarsi ogni mattina per fare il proprio dovere in Sicilia?». E Vecchioni, nei panni incompresi del mercante di luce replica così: «Lo so benissimo, infatti ho scritto un libro sulla vendetta del Sud – risponde – Se io fossi un siciliano mi farei ammazzare, perché la sincerità della mia terra è, deve essere più grande della dabbenaggine e della vigliaccheria degli altri. Capisco i problemi, i ricatti, ma non si può scendere a compromessi, o sottomettersi. Io sono un sudista: mio nonno era di Messina, mio papà di Napoli, conosco la passione e l’amore per la verità del Sud, ma queste devono vincere sulla mediocrità. Se dico queste cose è perché ne soffro, ci si strugge a vedere tutto questo. La mia è una provocazione d’amore. Toglietevi dalla testa Salvini e il campanilismo, possibile che da 150 anni al Sud non succede niente? Non ho mai voluto offendere nessuno – conclude – Palermo è una città a cui devo molto. Qui, nella spiaggia di Mondello, ho scritto il disco Blumun… ma perché i siciliani si buttano via così tanto?».
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