Terreni distrutti dalle fiamme, raccolti di pesche rubati, mezzi agricoli fatti sparire e riconsegnati dopo il pagamento di un cavallo di ritorno. Che costava agli imprenditori agricoli circa quattromila euro. «Sapevano di non poter forzare la mano, perché le aziende non dovevano morire se loro volevano continuare a lucrare», spiega il capitano Arcangelo Maiello, al comando della compagnia di Taormina oggi in conferenza stampa sottolineando come Cosa Nostra abbia imposto così il suo controllo sulla valle dell’Alcantara: Malvagna, Fondachelli Fantina, Francavilla, Roccella Valdemone, Castiglione, Mojo.
Paesi su cui si sarebbe esteso l’opprimente potere del clan Brunetto e in cui, nonostante l’isolamento, diversi imprenditori hanno deciso di denunciare, dando un contributo decisivo alle indagini dei carabinieri che oggi hanno arrestato dodici persone (di cui due fermate in Germania), dieci finite in carcere e due ai domiciliari, 27 gli indagati. Determinante nel far partire le indagini la denuncia di un dirigente sindacale della Uil, socio di una cooperativa agricola a Mojo Alcantara, oggetto di intimidazioni (due auto bruciate) e di richieste di pizzo da parte degli emissari del clan. Almeno altre sei le aziende vittime di pizzo, e altri due gli imprenditori che hanno deciso di collaborare.
A tirare le fila dell’organizzazione sarebbe stato Paolo Brunetto, ancora in vita durante la fase iniziale delle indagini che sono partite nel 2013 e poi deceduto per morte naturale all’ospedale di Biancavilla. A lui, nonostante le sue precarie condizioni di salute, si sarebbero rivolti i vari affiliati per risolvere le controversie e le reciproche ingerenze territoriali. Brunetto sarebbe intervenuto anche per difendere gli imprenditori che pagavano il pizzo alla famiglia e in più di un’occasione avrebbe riunito i capi-zona. È proprio in uno di questi summit in una stalla di Giarre che i carabinieri hanno fatto irruzione, arrestando in flagranza Vincenzo Lo Monaco, sottoposto a sorveglianza speciale e ritenuto uomo di spicco del clan Brunetto, egemone nella fascia ionica e collegato ai Santapaola-Ercolano di Catania. «Le richieste di pizzo aumentavano soprattutto a Natale, Pasqua e Ferragosto – spiega Maiello – inoltre abbiamo documentato come il gruppo si rifornisse anche di marijuana che spacciava poi nell’hinterland di Taormina. Alcuni degli indagati di oggi, complessivamente sono 27, avevano anche disponibilità di armi. Lo dimostra una delle intimidazioni portate a segno ai danni di un’azienda contro cui vengono esplosi alcuni colpi di arma da fuoco. Otto i bossoli che abbiamo recuperato per terra».
I dodici arrestati devono rispondere di associazione di stampo mafioso, danneggiamento seguito da incendio, estorsione aggravata dal metodo mafioso e traffico di stupefacenti. Le indagini dei carabinieri della compagnia di Taormina hanno permesso di accertare che gli episodi a danno degli imprenditori agricoli della zona erano frutto di un’unica regia. A spartirsi il controllo del territorio sarebbero stati Pino Vincenzo a Malvagna, Carmelo Caminiti e Antonio Monforte a Francavilla e territori limitrofi. Di associazione mafiosa è accusato anche Angelo Saimeri, di Mojo Alcantara.
Vanno in carcere Vincenzo Pino, 61 anni di Malvagna; Carmelo Caminiti, 44 anni di Francavilla di Sicilia; Angelo Salmeri, 30 anni di Mojo Alcantara; Antonio Monforte, 50 anni di Castiglione di Sicilia; Alfio di Bella, 53 anni di Catania; Salvatore Scuderi, 30 anni di Taormina; Vincenzo Lo Monaco, 47 anni di Castiglione di Sicilia, e Carmelo Oliveri, 50 anni di Acireale.
Domiciliari per Salvatore Coco, 57 anni di Fiumefreddo, e Giuseppe Lombardo Pontillo, 30 anni di Bronte, già ristretto in carcere.
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