V per Vendetta

Tratto dall’omonimo fumetto degli anni ’80 di Alan Moore e David Lloyd, V for vendetta è la personificazione di ideali eroici e romantici, con una punta anarchica come da tempo ormai non se ne vedevano più. In un mondo non troppo differente da quello reale, ed in un futuro non così lontano (respiriamo un totalitarismo e una pressione mediatica simile a “1984” di G. Orwell) in cui le menti addormentate del popolo, creano le condizioni di passività e indifferenza necessarie a che un potere centrale “per la nostra sicurezza” si occupi di governare, decidere e pensare al nostro posto. Ed in questa Inghilterra alternativa, sola potenza rimasta in piedi dopo una serie di epidemie e cataclismi (è impressionante il tono verosimile con cui un giornalista del regime, parla degli Ex Stati Uniti D’America), che l’Alto Cancelliere, abilmente insediatosi, governa come un semidio, finché un uomo, una maschera nella notte, decide di lottare per i torti subiti e per dare una scossa alla società ormai da tropo tempo inerte. Il richiamo, fin dai primi attimi del film, è per “la congiura delle polveri” del 5 novembre 1605, e con un sapiente flashback ci mostra 

la cattura e l’impiccagione di Guy Fawkes, esecutore materiale dell’attentato. La cosa strabiliante però è che non ci viene presentato come terrorista cattolico, ma come promulgatore dell’idea di libertà, la sfumatura della storia ed il punto di vista vengono cambiati. Ed è proprio il volto di Guy Fawkes che ricopre il viso di “V”, perché dopo 400 anni, è li per portare a compimento quella stessa missione, attribuire il significato dell’ideale di libertà,  all’esplosione del parlamento, non più sede democratica, ma fortezza del potere assoluto. Da notare è l’assoluta idealizzazione di V, che mai, ne  per amore, ne soggiogato dagli avversari, rivelerà il suo volto dietro a cui si cela il talentuosissimo Hugo Weaving, il cattivissimo signor Smith di Matrix, che pur non potendo utlizzare l’espressività della mimica facciale, dona con un’ottima recitazione vocale (che ahimè naturalmente si perde nella localizzazione in italiano) e mimica. Emblematico è il suo covo, che sembra essere l’unico rifugio rimasto alla libertà d’espressione artistica e culturale, nonché dotato di un ironico ambiente kitch vecchio stile. È un essere al di fuori del mondo umano, è l’ideale incarnato della giustizia e quindi non può avere un volto. Un tema doloroso per il nostro periodo, dove alcune persone, muoiono, uccidono e si fanno saltare in aria, spinti da quello che a volte, credono persino un ideale giusto. Ma si sa nei film, tutto può essere facilmente divisibile in bianco e nero, giusto o sbagliato, che sono poi i colori base delle cupe scene, e i principi oscuri del regime da una parte, e la voglia di rivalsa di V ed Evey dall’altra. Inframezzate dal rosso acceso delle “scarlet carson” e dal segno di V, colore del sangue, delle vittime innocenti che in qualsiasi lotta, sia di un regime che si impone, sia di una rivoluzione per la libertà coprirà inevitabilmente le mani di chi impugna un’arma per far valere le sue idee.

Gabriele Marsiglia

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