Per accedere a Professioni sanitarie si sono presentati in oltre tremila. Eppure, quest'anno tra i 25 e i 70 posti sono rimasti liberi sui 332 disponibili inizialmente. Tutto dipende dalla vittoria del ricorso per l'accesso a Medicina. «L'ateneo dice che non era prevedibile, ma non si può garantire il diritto allo studio così», spiega Giuseppe Campisi, coordinatore Udu. E sulla questione potrebbe partire anche un procedimento penale
Unict tra numero chiuso e ricorsi al Tar «I test un business per scuole e ateneo»
È la seconda area con maggiori richieste di iscrizioni, ma paradossalmente quest’anno tra i suoi banchi siedono tra i 25 e i 70 studenti in meno. È il corso di laurea in Professioni sanitarie dell’università di Catania. La mancanza di allievi dipende dalla vittoria del ricorso al Tar per l’accesso alla più ambita Medicina di centinaia di ragazzi. «Di solito chi tenta il test di accesso a Medicina sceglie Professioni sanitarie come seconda opzione», sottolinea Giuseppe Campisi, coordinatore dell’Unione degli universitari. Lo slittamento di liste di ammissione e la confusione generale che da qualche mese regna nelle due aree – problemi organizzativi che si ripercuotono sulle carriere accademiche di tutti gli iscritti -, sta creando degli affollamenti da una parte e dei vuoti dall’altra. «Ci sono molti posti liberi a Professioni sanitarie – prosegue Campisi – L’ateneo dice che non era prevedibile una situazione del genere, ma non si può garantire il diritto allo studio così».
Sul test di accesso a Professioni sanitarie pende un ricorso al Tar del Lazio che verrà discusso domani, a presentarlo 315 ragazzi che potrebbero essere riammessi in soprannumero sugli oltre tremila partecipanti per 332 posti. «Le contestazioni sono le stesse sollevate per il test di Medicina: violazione palese dell’anonimato, compiti non imbustati, punteggi stranamente alti». Ma per la vicenda è stata sporta anche denuncia. «C’è un procedimento penale davanti alla procura di Catania assegnato al pubblico ministero Giovannella Scaminaci», conferma il legale dell’Udu, Michele Bonetti. La querela, presentata lo scorso 30 settembre, riguarda il test fatto il 3 settembre. «Sono stati individuate due ipotesi di reato: omissioni di atto d’ufficio e abuso d’ufficio. Tutto è in fase di indagine», precisa l’avvocato. L’esposto è partito dopo aver raccolto le testimonianze di circa 60 partecipanti al test in un dossier. «C’era chi copiava e chi suggeriva. Compiti consegnati non in busta chiusa e a persone che non erano i docenti. Cellulari accesi. Non era un test blindato», afferma Campisi. Se alla denuncia dovesse seguire un processo, «i responsabili potrebbero essere ricevere condanne tra cinque e sei anni, ma nel frattempo i ragazzi dovrebbero poter accedere ai corsi», sostiene Bonetti.
Quello di Catania è l’unico ateneo in Italia con tutti i corsi ad accesso programmato. Stiamo massacrando questa città
Eppure, secondo il rappresentante dell’Udu la possibilità di far scalare la graduatoria e permettere agli studenti di iscriversi ci sarebbe. «Basterebbe chiamare chi ha fatto i test secondo l’ordine di ammissione. Ma i ragazzi non sono stati contattati. L’ateneo si difende dicendo che non è stata fatta una manifestazione d’interesse – prosegue Campisi – Ma a febbraio gli studenti non vanno a pensare che ci siano i posti liberi per una prova sostenuta a settembre dell’anno precedente». Una situazione analoga, descrive il coordinatore, si sta verificando anche a Palermo. «Il ministero sta chiedendo la dichiarazione di interesse, ma anche questa decisione è passabile potenzialmente di ricorso. Il bando, comunque, non si può riaprire – su questo Giuseppe Campisi è categorico – E nemmeno l’anno prossimo non si possono mettere posti in più, per compensare. L’accesso iniziale è molto compresso».
«Professioni sanitarie ha un sistema farraginoso per quanto riguarda lo scorrimento – sospira Michele Bonetti – I posti ci sono, ma non si riescono ad assegnare. Ormai i ragazzi si sono rassegnati». E l’avvocato rivela che un altro ricorso pendente sull’accesso a Psicologia. «Catania rappresenta il simbolo del numero chiuso – spiega – Si vedono queste graduatorie, ma poi rimangono posti vuoti. C’è qualcosa che non va». «A causa dei test, in cinque anni abbiamo perso 15mila posti – dichiara Giuseppe Campisi – quello di Catania è l’unico ateneo in Italia con tutti i corsi ad accesso programmato. Stiamo massacrando questa città».
Secondo il rappresentante «è un problema di miopia in un territorio come il nostro. Abbiamo la possibilità di migliorare le vite di molti giovani, ma molti ragazzi preferiscono andare fuori. La domanda che ci facciamo è: come creare le condizioni per crearmi il mio futuro nella mia terra? Si parla molto, ma su questo non si apre mai un dibattito». «Più chiudi meno attrai», dice con semplicità Michele Bonetti. «In certi dipartimenti, come a Giurisprudenza, sono stati ammessi studenti con tre o quattro come voto. Addirittura è entrato un ragazzo con meno uno. Questo test – conclude – non è un business solo per università private o le scuole di preparazione». Per ogni prova sostenuta, gli aspiranti allievi catanesi hanno pagato 40 euro. «È sicuramente un guadagno per l’università».