Abnorme, illogico, paradossale. Sono le tre frecce che ha deciso di scoccare Lucio Maggio, il direttore generale dell’università di Catania, sospeso ieri fino al 16 maggio dal consiglio d’amministrazione dell’ateneo, con divieto di accedere ai locali dell’ente. Con una lettera dove i tre aggettivi – e variazioni sul tema – ricorrono con un ritmo quasi ossessivo, il dirigente fa sapere che non lascerà. Continuerà a lavorare in attesa del parere del Collegio dei revisori dei conti, a cui la missiva è indirizzata. Un braccio di ferro con il rettore Giacomo Pignataro e il cda, di cui Maggio non riconosce l’autorità. Per il bene dell’ateneo e dell’interesse pubblico, sottolinea.
La lettera, inviata ieri dopo la notizia della sospensione, lascia subito intendere che non si tratta dell’atto finale della lunga battaglia tra il direttore scelto dall’ex Magnifico Antonino Recca e la nuova amministrazione. «Non è questa la sede per ragionare sulle reali motivazioni che hanno indotto il rettore ad avviare, già da qualche tempo, un’incredibile serie di iniziative vessatorie indirizzate alla mia persona», scrive Maggio. Le due pagine e mezza si concentrano infatti sulla segnalazione della «assoluta illegittimità» del provvedimento di sospensione del cda.
Per Maggio sarebbe «assolutamente fallace, abnorme e giuridicamente illogico» pensare che un consiglio di amministrazione possa prendere una decisione sul direttore generale. Essendo il primo un organo di indirizzo e il secondo un organo di gestione di pari grado, spiega. Nessun rapporto di subordinazione, nessun potere disciplinare insomma. Ma Maggio entra anche nel merito della decisione, giudicando paradossale il motivo della sospensione. L’aver scavalcato e ignorato il rettore in una decisione tecnica che spettava a lui, aveva fatto sapere Pignataro. «Una responsabilità particolarmente grave accertata con le procedure di valutazione» previste dalla legge, sottolinea ora Maggio. «Quali sarebbero?», chiede nella lettera. Ricordando invece il voto otto su dieci ricevuto per il suo lavoro dal nucleo di valutazione dello stesso ateneo catanese.
Nemmeno il parere negativo dell’avvocatura di Stato su alcuni contratti confermati dal direttore generale sembra bastare allo stesso dirigente, perché sarebbe «quanto meno affrettato e comunque privo di qualsiasi fondamento giuridico». Senza considerare, come fa in conclusione, il danno per le casse dell’ateneo costituito dal pagare un dirigente – oltre 196mila euro l’anno – senza che possa lavorare e l’interesse pubblico che la vicenda ricopre. Tutte motivazioni che Lucio Maggio avanza per annunciare che non lascia.
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