«Non si tratta di appuntamenti con professori in toga nera che parlano di cose astruse in latino». La dichiarazione arriva dal docente di filologia Semitica dell’ateneo di Catania, Marco Moriggi. Che insieme ai colleghi Antonio Pioletti e Nicola Laneri presenta il laboratorio Conoscere il mondo arabo-islamico. Puntando molto sulla partecipazione della cittadinanza, dei curiosi e ovviamente degli studenti. Per questi ultimi è previsto, infatti, un riconoscimento in crediti formativi universitari. «Ma i catanesi, che non sono chiaramente interessati ai 3 cfu, non dovrebbero lasciarsi sfuggire la possibilità di conoscere un mondo con il quale ci si confronta ogni giorno», continua Moriggi.
Il laboratorio culturale
inizia giorno 11 novembre nell’auditorium Giancarlo De Carlo – presso l’ex monastero dei Benedittini – e si conclude il 6 aprile 2016. Articolandosi in nove incontri che tratteranno i tre diversi macrotemi dell’Islam, delle culture e della geopolitica grazie ai contribuiti di diversi docenti del panorama accademico nazionale. Affinché «la nostra ignoranza non continui a trionfare sui vari argomenti», attacca Moriggi. A condividere l’identica missione è Pioletti. Che spiega la genesi del laboratorio. Un’iniziativa che affonda le radici in una petizione dal titolo Pace e salvaguardia del patrimonio culturale nel Vicino Oriente e nel Mediterraneo, avviata qualche mese fa da un gruppo di studiosi tra i quali anche Pioletti.
«La raccolta firme ha avuto un grande successo ma non potevamo fermarci lì e – continua Pioletti -, non possiamo farlo nemmeno adesso con il laboratorio». Tra gli obiettivi futuri dei docenti c’è l’incremento del numero di borse di studio da attribuire a universitari delle aree vicino orientali e l’aumento dei progetti di scambio interculturale. «Se solo i governi non fossero così ciechi da fornire finanziamenti inadeguati si potrebbe fare molto di più», denuncia il docente. Che lascia intervenire il collega Laneri – coordinatore del laboratorio – sull’attuale situazione politica dell’area. E sullo stato della conservazione dei beni archeologici.
«Avere visto la distruzione della città di Aleppo è un dramma umano, così come è terribile constatare la fine che hanno fatto i siti di Palmiria, Ebla, Nimrud e Ninive», spiega Laneri. Che all’Unict insegna archeologia del Vicino Oriente Antico. «Questo laboratorio nasce soprattutto per fare conoscere quella cultura e anche per fornire gli strumenti adeguati a comprendere cosa si può fare a livello di conservazione del patrimonio culturale», aggiunge. Nonostante la comunità scientifica, nello specifico, non possa intervenire più di tanto. Se non «con creazioni di database e la promozione di master archeologici sul restauro e la conservazione dei beni culturali nei contesti post bellici». Perché «adesso c’è la guerra ma dopo si dovrà pur fare qualcosa e non bisogna lasciarsi trovare impreparati», conclude Laneri.
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