Non si può spiegare altrimenti il comportamento dei precari della ricerca dell’Ateneo di Catania. Dopo la scarsa partecipazione alle attività di protesta contro il DDL Gelmini, arriva l’ennesima batosta e nessuno sembra prenderne coscienza. Questa volta si potrebbe definire una pugnalata alle spalle piuttosto che una bastonata. Il nuovo regolamento di Ateneo relativo agli assegni di ricerca dà l’ennesimo schiaffo a chi da anni senza nessuna sicurezza e con tanto sacrificio si è dedicato al settore della ricerca. Con un gioco di prestigio rispetto alle bozze circolate nelle ultime settimane è stato approvato un articolo (Art. 2 punto 4) che impedisce l’attribuzione di un assegno di ricerca a chi si è laureato da oltre 6 anni o da 10 se in possesso del titolo di dottore di ricerca. Il gioco di prestigio è avvenuto cancellando nell’articolo citato le parole ‘per la prima volta’ che invece comparivano nei precedenti documenti. Un’altra batosta è data dall’articolo 1 (2b) che impedisce ai Dipartimenti di utilizzare le proprie risorse economiche per finanziare gli assegni di ricerca. E’ ben noto che il settore umanistico ha scarsissime possibilità di accedere a finanziamenti su progetti esterni all’Ateneo. Definisco tale decreto una pugnalata perché è stato concepito da quelle stesse persone con cui noi precari lavoriamo tutti i giorni fianco a fianco, che ci sorridono e che ci dicono che stanno lavorando per il nostro bene. Mi riferisco al rettore, ai presidi, ai diversi componenti del senato accademico.
Io sono un ricercatore precario da undici anni presso la Facoltà di Agraria di Catania e sono un prodotto scaduto! Adesso pare che il mio tempo sia finito. Non interessa operare una valutazione meritocratica sul mio lavoro, ciò che importa è solo il fatto che la mia età cresce e divento un problema. Non importa che il mio curriculum scientifico in questi anni si sia arricchito e che possa vantare pubblicazioni accostabili a quelle dei ricercatori e professori strutturati di questo Ateneo. Nella mia stessa situazione si ritroverà a breve la maggior parte degli assegnisti attuali. Ma solo pochi sembrano rendersene conto o reagire senza chinare il capo.
10 anni sono un periodo lungo, ma chi ha esperienza di ricerca sa benissimo che i frutti del proprio lavoro si godono solo dopo una faticosa attività di apprendistato e di studio. Si sa che il tempo passa veloce anche quando non hai nessuna possibilità di accedere ad una strutturazione nell’organico di Ateneo per la mancanza di concorsi.
Ascoltando la retorica sull’importanza della meritocrazia e della ricerca come volano culturale ed economico di un paese, mi chiedo perché poi si tenda a demolire sistematicamente l’istituzione dell’Università; perché ci sia un disegno atto ad eliminare una intera generazione dal settore della conoscenza del nostro paese ed in particolare nel nostro Ateneo; perché mi debba sentire una risorsa nei laboratori esteri, che ho frequentato nei miei anni di lavoro, mentre per la mia università sono solo un contratto da onorare, una spesa da tagliare. Mi chiedo anche quanto costerà in termini di tempo e di denaro aspettare la formazione e l’apprendimento del know how di nuovi ricercatori precari. Magari chi è più giovane di noi si farà più furbo e non investirà tante energie senza avere una prospettiva. E’ probabile che questo sistema favorirà l’acceso all’università solo a coloro che godono già di una situazione privilegiata.
Dove sono i miei colleghi? Forse troppo impegnati a non pestare i piedi a qualcuno o peggio trascinati via dall’inerzia degli eventi.
Stanno decidendo il nostro futuro senza domandare il nostro parere. Giocano una partita dove noi siamo pedine! La colpa è principalmente nostra e della nostra incapacità di reagire.
Sono attualmente in Australia per svolgere un progetto di ricerca tra la mia facoltà e quella australiana. Sono qui per far crescere la mia competenza scientifica ma anche per internazionalizzare (parola cara ai nostri superiori) il nostro lavoro in cui il confronto con altre realtà è di fondamentale importanza.
Forse dovrei far tacere la mia coscienza, forse dovrei spegnere qualsiasi entusiasmo per il mio lavoro, forse si vive meglio in coma farmacologico.
Gaetano Distefano
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