«Un collezionista». Soltanto così si potrebbe definire Giambattista Scirè, lo studioso che nel 2011 ambiva, grazie a un concorso pubblico, a un posto da ricercatore di Storia contemporanea nella sede distaccata di Ragusa dell’Università di Catania. Nove anni dopo resta il sogno, irrealizzato, e una raccolta di sentenze favorevoli in sede amministrativa, penale e adesso contabile. L’ultimo verdetto in questa incredibile storia lo ha emesso il 9 ottobre scorso la sede regionale siciliana della Corte dei conti. Chiamata a esaminare l’eventuale risarcimento danni nei confronti dell’ateneo catanese. Sul banco degli imputati, ancora una volta, c’erano Simone Neri Serneri, Luigi Masella e Alessandra Staderini, rispettivamente presidente, componente e segretaria della commissione di valutazione che nel 2011 si occupò del bando per l’assegnazione del posto da ricercatore per un periodo di tre anni, prorogabili per altri due. Lo stesso in cui Scirè rimase escluso arrivando secondo.
Adesso Serneri, Masella e Staderini sono stati condannati a pagare la somma di 50.130,135 euro all’Università di Catania. Ossia l’equivalente della cifra già pagata in passato dall’ateneo a titolo di risarcimento nei confronti dello stesso Scirè. «Si tratta di un danno – si legge nelle motivazioni – per colpa grave, andrà quindi diviso in misura uguale tra i tre membri della commissione». Gli stessi che avevano chiesto «una riduzione dell’addebito». Ipotesi tuttavia non accolta dai giudici, motivo per cui ognuno dovrà versare alle casse di Unict poco più di 16mila euro. «Nel merito – continua la sentenza – la condotta dei convenuti è da ritenersi palesemente antigiuridica».
Per ricostruire questa storia bisogna tornare indietro proprio al 2011. Anno del concorso in cui Scirè rimase escluso, in favore di una laureata in Architettura. La prima sentenza del tribunale amministrativo arrivò dodici mesi dopo, con l’obbligo di riconvocare la commissione esaminatrice per una nuova valutazione. Anche in quella occasione, però, il verdetto non cambia. Due anni dopo, nel 2014, in seguito all’ennesimo ricorso di Scirè è la terza sezione del Tar a bollare come illegittimo quel concorso, con la vincitrice che non avrebbe avuto i titoli per ottenere il contratto a tempo determinato. Stessa posizione poi assunta dal Consiglio di giustizia amministrativa.
I tasselli della vicenda, dopo tre pronunciamenti amministrativi, rimangono però al loro posto. E Scirè, suo malgrado, diventa il simbolo del fallimento della meritocrazia. In una storia già paradossale si aggiunge anche il verdetto del tribunale di Catania che ad aprile dello scorso anno ha condannato per abuso d’ufficio in concorso i tre componenti della commissione esaminatrice. In un processo in cui l’università ha deciso di rimanere in silenzio non costituendosi come parte offesa, dopo non avere eseguito le sentenze del 2014 e del 2015. «I convenuti – continua la sentenza contabile – hanno perseverato in un’interpretazione della normativa di settore del bando di concorso assolutamente priva di qualsivoglia fondamento giuridico». Parole come macigni contenuti nelle motivazioni della sentenza, l’ennesima messa in archivio da Scirè. Il collezionista che sognava un posto da ricercatore.
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