A Palermo, a due passi dal verde di Villa Trabia e dalla stazione Notarbartolo, c’è un luogo dove rinascono vestiti e persone. Al civico 22 di via Alfredo Casella, la cooperativa Al Revès, che in spagnolo significa al contrario, gestisce una sartoria sociale. «È un luogo dove si fanno abiti su misura, riparazioni sartoriali, piccole collezioni e accessori per la casa, ma anche lavori di tappezzeria come sgabelli, selle o sedie -dice a MeridioNews Rossella Failla, responsabile della comunicazione della cooperativa – Si vendono anche abiti usati e vintage dopo essere stati opportunamente igienizzati e riparati. Abiti che ci vengono donati da privati cittadini che vogliono disfarsi in maniera etica di capi e tessuti ancora in buone condizioni. Da qualche mese abbiamo anche una stampante digitale per tessuti, quindi stampiamo e personalizziamo anche t-shirt e shoppers con frasi, loghi e messaggi. Per produrre i prodotti si usano soprattutto tessuti di riciclo».
Insomma, un laboratorio dell’abbigliamento etico in cui, oltre a cucire vestiti e sperimentare creatività, si intessono relazioni sociali. «In cooperativa abbiamo accolto e formato persone di ogni tipo – spiega Failla – con storie molto diverse tra loro. Persone immigrate, persone con problemi penali, donne vittime di violenza e di tratta, ragazzi disabili, persone che si trovavano in un momento difficile della propria vita per motivi personali, economici, sociali. È un luogo in cui si intrecciano relazioni significative di cui le persone beneficiano reciprocamente, metaforicamente un po’ come nella trama di un tessuto i fili si tengono insieme l’un l’altro».
L’idea nasce nel 2012 da un gruppo di donne, e in particolare dalla grinta di Rosalba Romano, un’operatrice sociale con la passione per la moda etica. «Già il nome scelto per la cooperativa fa capire l’intenzione e l’atmosfera che sta dietro il progetto – continua Failla – Al Revès vuole essere uno stimolo per le persone a guardare se stessi e la propria vita in maniera opposta a come lo si è fatto fino a un certo punto, mettendosi alla prova. Perché il cambiamento nasce così». L’obiettivo è dare una seconda possibilità alle persone: «Ognuno si occupa di ciò che è più adeguato alle sue competenze: chi sa cucire cuce, chi ha una buona organizzazione dà una mano con le attività burocratiche, chi ha senso pratico magari svolge attività più manuali aiutando il tappezziere o pulendo gli spazi. In sartoria c’è posto per tutti».
Da quando frequenta il civico 22 di via Alfredo Casella, Failla ha incontrato diverse persone, assistendo a veri e propri cambiamenti. «Ho visto soggetti all’inizio molto diffidenti, cupi e taciturni che poi con il tempo si sono aperti e illuminati perché hanno cominciato a sentirsi parte di un gruppo, di un progetto». In sartoria sono passate più di cento persone. Per molti è un luogo di passaggio e transizione, ma nascono legami, amicizie e c’è chi ritorna. «Una donna, sui 55 anni, architetta, con delle ottime doti artistiche – racconta Failla – oggi collabora con noi e ci dà molti spunti creativi per le varie collezioni e attività che portiamo avanti. Per lei la sartoria è stata un trampolino di lancio per rimettersi in attività con quello che le piace fare di più e coltivare il suo talento». Un ragazzo immigrato, invece, dopo aver concluso il periodo all’interno della sartoria sociale e aver appreso il mestiere, si è aperto il proprio laboratorio. «Questa per noi è stata una enorme soddisfazione – ammette Failla – Siamo molto favorevoli a fare rete sul territorio. Per noi è imprescindibile, spesso organizziamo attività con altre associazioni, case famiglia, cooperative, imprese sociali».
Con l’emergenza sanitaria, la sartoria ha avuto qualche difficoltà in più. «Abbiamo dovuto adattarci alle nuove normative imposte dal Covid, che hanno reso questa attività più complicata – spiega Failla – Mentre prima chiunque poteva venire in sartoria e portare abiti e tessuti che noi avremmo provveduto a igienizzare, adesso non possono più entrare tessuti e abiti usati. Li vagliamo all’esterno del locale, decidiamo quali vogliamo tenere e li portiamo subito in lavanderia». Durante il lockdown è rimasta aperta, ma solo come laboratorio. «Non potevamo aprire al pubblico e fare vendita di abiti, ma solo eseguire riparazioni. Con la pandemia le vendite si sono azzerate nel negozio fisico ma ci siamo dati da fare con le vendite on line e con le spedizioni». La sartoria ha provato a reinventarsi, adattandosi alle necessità del momento. «La pandemia è stata difficile per tutti ma a maggior ragione per chi stava già vivendo un brutto momento a prescindere. Abbiamo confezionato centinaia di mascherine di stoffa che sono andate molto bene, alcune le abbiamo regalate alla Caritas e ad altre comunità», va avanti Failla.
Nonostante le difficoltà, sono tanti i progetti all’attivo che vedono impegnata la sartoria anche fuori dall’officina di via Alfredo Casella. Inaugurata a luglio, Ape & filo è una sartoria sociale on the road: una moto-ape attrezzata come un laboratorio tessile e negozio. Poi c’è Fibra Etica: un progetto per l’inserimento socio-lavorativo di donne disoccupate, realizzato in collaborazione con un’altra sartoria sociale, Soleinsieme di Reggio Calabria, e con la cooperativa Meet project di Catanzaro. Infine il progetto Sprint! La scuola con una marcia in più, attivo ormai da tre anni e che si svolge in collaborazione con il liceo delle scienze umane e linguistico Danilo Dolci di Brancaccio. «Un progetto rivolto agli studenti e alle famiglie di questo quartiere problematico per rendere la scuola – conclude Failla – un luogo non solo di istruzione, ma anche di cultura, sviluppo sociale e crescita civica».
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