Una petizione all’Ars per una nuova moneta Il grano contro sprechi e disoccupazione

Cita i presidenti statunitensi Abraham Lincoln e John Fitzgerald Kennedy e la sede della sua associazione è a Brolo, nel Messinese. Si propone di occupare 250mila siciliani, aumentare il reddito delle famiglie isolane, permettere investimenti infrastrutturali e strategici per 40 miliardi di euro in cinque anni garantendo altri 40 miliardi di attivi. Tutto questo grazie al grano, un nuovo sistema economico siciliano complementare all’euro e circolante solo dentro i confini della trinacria. L’ambizioso piano al limite dell’utopico – ma giudicato «fattuale e realizzabile» dal suo ideatore – viene da uno studio di Giuseppe Pizzino, ex imprenditore con la passione per la macro-economia e fondatore dell’associazione Progetto Sicilia. L’idea si basa su quattro punti cardine complementari tra loro: il deficit inarrestabile è provocato dalla mancanza di liquidità. La soluzione? Creare lavoro. Ed è qui che entra in campo la nuova moneta, disponibile sotto forma di carta di credito – la Grancard – emessa dalla Banca complementare siciliana.

«Tutto è nato da una domanda che mi sono posto – racconta Pizzino – Se incontrassi un giovane siciliano, e gli chiedessi perché è disoccupato, mi risponderebbe che non c’è lavoro. Ma tutto si può dire, tranne che in Sicilia manchi da lavorare». Al primo posto tra gli impieghi possibili, l’imprenditore mette le infrastrutture lasciate a metà o abbandonate, per poi aggiungere l’agricoltura e tutti gli impieghi a questi collegati. «A mancare è la liquidità», afferma. «Con l’attuale bilancio della Regione non c’è alcuna possibilità di creare un solo posto». Tra ammortizzatori sociali vari e fondi destinate al controverso ramo della formazione, si bloccano fondi e capitale umano, denuncia lo studioso. «La disoccupazione giovanile in Grecia, il paese che consideriamo il fanalino di coda, è del 45 per cento – snocciola rapidamente Pizzino – In Sicilia è del 56 per cento. Sono numeri che non dovrebbero far dormire la notte». Il nuovo sistema monetario regionale – Giuseppe Pizzino non ama definire il grano «nuova moneta» – permetterebbe «al lavoratore di incontrare il lavoro» e alla Sicilia di rimettersi in pari con il potere d’acquisto delle famiglie del Nord, mantenendo l’euro per le spese oltre lo stretto di Messina. «La Banca centrale europea ha già accettato un sistema simile in Grecia», dov’è stata immessa la moneta chiamata Ela, Emergency liquidity assistance.

Il Progetto Sicilia vedrebbe impegnati in prima linea i risparmiatori isolani che, secondo le stime di Pizzino, hanno da parte 60 miliardi di euro. Attraverso la società per azioni Fin Sicilia (l’ex Irfis) verrebbero emesse delle obbligazioni per cinque miliardi di euro per cinque anni, al ritmo di un miliardo all’anno per evitare di cadere nell’inflazione. «Ai risparmiatori sarà chiesto di investire cinquemila euro, 200mila euro alle imprese, che in cinque anni raddoppieranno il valore iniziale». Le risorse investite – sei miliardi di euro – verrebbero impiegate per il completamento o la creazione di infrastrutture, così da generare nuovi posti di lavoro. «Una soluzione interna per un problema interno», riassume l’ideatore.

Secondo i dati consultati per il progetto, la Regione possiede beni immobili regionali (non il patrimonio artistico-culturale, precisa Pizzino) per circa sei miliardi di euro che servirebbe da ulteriore garanzia per l’investimento dei contribuenti. Questi, dal canto loro, usufruirebbero dei benefici relativi al miglioramento delle condizioni di vita, dall’indotto legato ai nuovi impieghi e dall’abbassamento delle tasse regionali, l’Irap su tutte. «Con questo sistema non ci rimette nessuno». Il segreto del grano sta nel tasso di conversione nei confronti dell’euro: un grano varrà due euro. «L’obiettivo è riportare il valore di acquisto a quello di 14 anni fa». Il reddito disponibile medio annuale delle famiglie siciliane è di 12mila euro, la metà di quelle lombarde. «Grazie al raddoppio del valore di convertibilità ci si rimetterà in pari», spiega l’imprenditore. E nel caso in cui il piano dovesse fallire, il capitale iniziale verrebbe restituito. E per tutti quei cittadini che non hanno a disposizione cinquemila euro da investire? Basteranno i fondi risparmiati dalla Regione a garantire una sorta di reddito di cittadinanza, 600mila euro da convertire in grani e spendibili immediatamente nella vita quotidiana.

«Non sono un economista né un giurista, ma i professori non hanno avuto molto successo», afferma sorridendo Pizzino. Il quale è più che convinto della validità della sua teoria che ha pubblicato in un libro e sta diffondendo sul web attraverso i social network, con un gruppo dedicato, e una petizione online. Il prossimo passo, da compiere entro il 23 dicembre, è la raccolta di diecimila firme per presentare il progetto di legge di iniziativa popolare all’Assemblea regionale. «Abbiamo iniziato quattro giorni fa e abbiamo raggiunto già mille firme».

Carmen Valisano

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