Una ipnotica attesa

A due anni dalla nascita – dopo alcune modifiche alla formazione originale – esce “Sometimes it’s better to wait”, il primo lavoro discografico della band romagnola Ofeliadorme. Un titolo calzante con l’anima del gruppo, un viaggio rilassante e introspettivo che ci accompagna per 24 minuti in sei tracce, durante le quali si può stare sdraiati sul letto, passeggiare durante un pomeriggio invernale, o guardare fuori attraverso il finestrino di un’automobile.

Gli Ofeliadorme nascono nel 2007 a Bologna come duo acustico, formato da Francesca Bono e Gianluca Modica. Al progetto si uniscono in seguito Tato Izzia e Michele Postpischl, rispettivamente al basso e alla batteria.

Gli amanti di PJ Harvey potranno apprezzare la voce di Francesca Bono che, nonostante le influenze, sembra molto personalizzata. Testi in inglese e arrangiamenti che ricordano un po’ ballad acustiche come “Goodbye blue sky” e “Mother” dei Pink Floyd. Tanti gli spazi strumentali all’interno dei brani, per alcuni un po’ ridondanti, per gli amanti del genere un cliché che non stanca mai.

A fare da ouverture all’EP è “To wait”, sillabe adagiate su una melodia soffice e dinamica, ciò che si dice una bella canzone pop indie. Così viene annunciata la filosofia del quartetto romagnolo che ci accompagnerà per tutta la durata dell’ascolto. Può essere definita come title-track poiché il titolo del mini-disco è stato estrapolato dalla strofa.

Il secondo brano rende evidente che gli Ofeliadorme provengono da un duo acustico. Una lunga serie di arpeggi fanno da sottofondo a “New pieces of science”; il basso è ridotto all’essenziale così come la batteria, le chitarre, pur accennando delle melodie, non si distaccano dal loro ruolo fisso di accompagnatrici, creando un miscuglio di suoni dal quale nessuno strumento emerge rispetto agli altri. La voce rimane come protagonista.

Un beat leggerissimo di batteria introduce “6:17pm”, il cui tic-tac viene scandito dalla chitarra acustica dando la sensazione che tutto intorno si muova a scatti. Suono asciutto ed un eco in lontananza preparano l’atmosfera per una solitudine insonne. Il carattere debole dura per tutto il pezzo e contagia a 360 gradi l’arrangiamento, dalla batteria alla voce flebile nelle due strofe che compongono il pezzo. “Bells” è forse il brano più ricco di armonia dove colpisce l’imprevedibilità della voce e la scelta degli accordi soprattutto nel ritornello.

Successivamente eccoci servito il brano che più potrebbe rappresentare la formazione Ofeliadorme al completo, “This world”: fuori dal cliché acustico e più proiettata verso ambientazioni fortemente ipnotiche ed elettro-rock. L’abbondanza degli accordi minori marca la natura scura, toccante, quasi addolorata del brano. Scansioni frenetiche della batteria, associati ad archi completamente rilassati, provocano una sensazione di sospensione mentale, mentre tutto il tempo continua a scorrere.

Si introduce con rumori di sottofondo e uno xilofono toccante “The ballad of the bitter end”, che chiude l’EP. La voce sussurrata lascia quasi immaginare la melodia sorretta dalle tastiere, mentre da contorno gli arpeggi di chitarra acustica ci riportano nello stile della band.

La loro natura libera si manifesta non solo nelle composizioni ma anche nell’assenza di ruoli fissi nell’organico musicale. I quattro si alternano alle chitarre, basso, batteria e tastiere a seconda delle esigenze e delle caratteristiche di ciascun brano.

Hanno già varcato i confini nazionali, con un genere sicuramente più gradito nei Paesi d’oltralpe, dove si presenteranno con questo nuovo biglietto da visita: un apprezzabile inizio. Ofelia-dorme, ma con un occhio solo.

Fabio Pitino

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